martedì 14 febbraio 2012
​Le Chiese di Siria lanciano un appello all’unanimità: «La situazione è insostenibile, pregate e agite per la pace». Perché la popolazione cristiana è presa tra due fuochi: la repressione brutale del regime e dei suoi servizi di informazione, i “moukhabarat”, e una violenza mascherata, in alcuni casi associata all’islamismo “takfirista”, radicale e combattente.
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Le Chiese di Siria alzano la testa e lanciano un appello all’unanimità: «La situazione è insostenibile, pregate e agite per la pace». Perché la popolazione cristiana è presa tra due fuochi: la repressione brutale del regime e dei suoi servizi di informazione, i “moukhabarat”, e una violenza mascherata, in alcuni casi associata all’islamismo “takfirista”, radicale e combattente. Dietro questa lotta armata tra le due fazioni – l’esercito regolare e la Free syrian army – c’è l’ombra di interessi geopolitici contrari al governo di Bashar al-Assad e una propaganda mediatica senza controllo. In mezzo, migliaia di civili atterrati dalle sanzioni e dalla paura di doversi schierare con o contro le parti in lotta. Soprattutto a Homs, cuore dei combattimenti. Il nunzio apostolico, monsignor Mario Zenari, in visita a Damasco, l’ha detto chiaro: «È una cosa impressionante: a Homs si spara su qualunque cosa si muova». Anche a bambini inermi «che hanno in mano soltanto la spesa». E invita la Comunità internazionale ad impegnarsi per «una soluzione urgente e pacifica», specie dopo gli attentati kamikaze ad Aleppo. Qui i numeri di telefono delle chiese cattoliche sono tutti staccati: non è possibile parlare con i frati francescani. La paura dei cristiani è quella di essere vittime della polarizzazione, come chiarisce Madre Agnès-Mariam de la Croix, igumena del convento ecumenico di San Giacomo il Mutilato a Qara. La superiora è una delle voci più autorevoli della comunità cristiana d’Oriente: critica contro il regime di Assad, si è esposta anche contro l’Osservatorio siriano dei diritti dell’uomo, diretto da un uomo vicino ai Fratelli Musulmani, lo storico oppositore del partito baathista, Rami Abdel Ramane. «L’opposizione non può più nascondersi dietro bilanci di vittime anonimi. Purtroppo esistono gruppi armati, responsabili di attacchi ai diritti dell’uomo tanto quanto il regime». La religiosa carmelitana denuncia ad Homs minacce contro i cristiani: «La vigilia di Natale i “takfiristi” hanno proibito ai cristiani di esibire i simboli della festa. Le persone che rifiutano di prendere posizione si fanno passare per traditori e appaiono nelle liste nere dei comitati rivoluzionari su Facebook». La comunità greco-ortodossa ha già una vittima tra i religiosi: padre Basilios Nassar, un sacerdote del villaggio di Kafarbohom. La paura dei cristiani cresce anche a Damasco. L’arcivescovo maronita della capitale Samir Nassar rivela ad Avvenire: «Dopo le autobombe esplose il 23 dicembre e il 6 gennaio ho avuto solo una dozzina di persone per la messa di Natale e non più di 20 bambini al catechismo: siamo pessimisti». In più, «la mancanza di gasolio, gas, elettricità, e l’inflazione ci stanno atterrando: il confessionale è diventato il muro del pianto per chi non sa a chi raccontare episodi gravi». Per l’arcivescovo si va verso la diaspora, come è stato per i cristiani iracheni: «Molti giovani hanno già pensato di andare via: ma le vie verso il Libano, dove c’è il polmone della nostra Chiesa, sono diventate molto più pericolose: neve, ghiaccio, controlli militari. Sono già molti i cristiani rifugiati ai confini, in zone dove si combatte». Di ritorno proprio dal Libano, il patriarca Gregorio III Laham sottolinea che la Siria ha sempre avuto la più bassa percentuale di emigrazione nel mondo arabo. «È dovuto al fatto che il regime è stato veramente laico. Per questo dico ai cristiani: pregate, non abbiate paura, non credete alle falsificazioni. Per parte nostra, dobbiamo parlare soprattutto come cittadini siriani. Siamo stati in pace finora: sarebbe meglio aiutare il regime a cambiare». Anche l’arcivescovo Nassar confessa che la crisi è arrivata a un punto di non ritorno: «Entrambe le parti in lotta ci tirano per la giacca. Ci viene chiesto di non rimanere neutrali. Come possiamo mantenere il nostro ruolo di mediatori tra due islam antagonisti senza rimanerne vittime? Per di più nell’indifferenza generale?».
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