«Lo dico da padre di un bimbo piccolo: ma davvero pensiamo di poter andare avanti così? Per quanto? Cosa stiamo aspettando?». Da cinque anni Andrea Iacomini, del Comitato italiano Unicef, segue per l’organizzazione Onu il conflitto in Siria. E di fronte al numero impressionante delle vittime – moltissimi i bambini –, ormai rubricato come un dettaglio qualsiasi, inizia a farle lui, le domande. Oggi alle 11 Unicef sarà in piazza Santi Apostoli a Roma insieme a tante altre associazioni e Ong – tra queste, Sant’Egidio, Amnesty Italia, Arci, Associazione Giornalisti Amici di Padre Paolo Dall’Oglio, Federazione nazionale della stampa, Italians For Darfur, NoBavaglio, Rivista San Francesco, Tavola della Pace, Un ponte per, Usigrai – per chiedere la fine di questa mattanza.
Sembra che la sensibilità sulla guerra, in particolare sulla tragedia di Aleppo, stia aumentando. Le immagini del piccolo Aylan, del piccolo Omran, hanno smosso le coscienze in tutto il mondo. Purtroppo è un’attenzione intermittente, che non si consolida in azione. Diversamente da quanto accadde in passato, per altre situazioni: l’Iraq, per esempio. Ci sono ondate di indignazione, che partono in genere quando la tragedia diventa catastrofe, e che poi si spengono, senza incidere.
Opinione pubblica sostanzialmente anestetizzata? Assuefatta? Sì. È la globalizzazione dell’indifferenza tante volte denunciata da papa Francesco. Ed è una costante, una “specifica” di questo conflitto.
Gli interessi in gioco in Siria sono altissimi. Sono tanti gli attori in campo, ognuno con il proprio tornaconto. Lei è davvero convinto che una forte mobilitazione dal basso possa fare la differenza? È successo in passato, come si diceva. Ed è successo di recente, in Ucrania: l’attenzione del mondo ha spinto la diplomazia a trovare risposte. Quello che sta succedendo in Siria, invece, sembra misteriosamente non meritare la stessa mobilitazione. Si parla ancora di “emergenza” e sono passati cinque anni. Nel 2013 abbiamo smesso di contare i bambini vittime del conflitto: eravamo a quota 11mila. Adesso saranno dieci volte tanto. È ora di mettere un punto. Per questo è particolarmente importante l’iniziativa di oggi. Ci siamo tutti. Senza pregiudiziali politiche. Lì con un solo obiettivo comune: spingere per una tregua duratura.