mercoledì 11 dicembre 2013

In 80mila sotto la pioggia. L'ex moglie Winnie abbraccia la vedova.
Barack e Raul mai così vicini
Nella nazione Arcobaleno resiste il bianco e nero (Fabio Carminati)

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Arancione, rosso, blu, verde, viola e ovviamente bianco e nero. Gli spalti del Fnb Stadium di Soweto, a Johannesburg, si sono tinti ieri di un crogiolo di colori. La sintesi visiva perfetta dell’arcobaleno sudafricano. «A Mandela sarebbe piaciuto», ha detto il vice-presidente dell’African National Congress, Cyril Ramaphosa. Anche se l’esplosione cromatica era dovuta alle decine di migliaia di ombrelli aperti per ripararsi al diluvio che ha accompagnato l’intera cerimonia di addio a Madiba. La prima in attesa dei funerali nel villaggio natale di Qunu di domenica. «Ma Nelson avrebbe voluto la pioggia», ha aggiunto Ramaphosa. Nella tradizione africana, quest’ultima simboleggia l’apertura del cielo per accogliere lo spirito del defunto. Non solo. Lo scrittore di Johannesburg, Bryce Courtenay racconta, nel più famoso dei suoi romanzi, “La forza del singolo”, come il capo in grado di unire le varie tribù sudafricane sia chiamato, dai locali, il “mago della pioggia”. Perché – spiega – il desiderio dell’acqua nelle savane assolate accomuna i differenti popoli. Qualcuno ci ha pensato mentre la musica accompagnava i balli frenetici degli 80mila che hanno voluto rendere omaggio al primo presidente nero di Pretoria, morto giovedì scorso. Persone comuni, stelle dello spettacolo, oltre 90 leader mondiali, dall’afghano Hamid Karzai, al palestinese Abu Mazen, i “latinos” Raúl Castro, Nicolás Maduro, Dilma Rousseff, per l’Italia il premier Enrico Letta, il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon, l’arcivescovo Desmond Tutu e l’ex avversario Frederik de Klerk. La lista dei presenti è lunga. Anche se a catalizzare l’attenzione è stato il leader statunitense Barack Obama con un discorso appassionato e ispirtato. In cui ha definito Mandela «gigante della storia» e «l’ultimo grande liberatore del XX secolo». Il capo della Casa Bianca ha ricordato come, trent’anni fa, la lotta di Madiba abbia mosso «qualcosa in me, ha risvegliato le mie responsabilità verso gli altri e me stesso». Parole toccanti per colui è stato a lungo il capo di un partito – l’African National Congress – inserito da Reagan nella lista delle organizzazioni terroristiche. Elenco in cui è rimasto fino al 2008 per volere delle Amministrazioni Clinton e Bush, entrambi in prima fila all’evento. Di certo, in ogni caso, non si riferiva a loro Obama quando ha “punzecchiato” i «troppi che ora celebrano Madiba ma, in realtà, non tollerano il dissenso nei loro popoli». Più probabile che si rivolgesse al presidente dello Zimbabwe Robert Mugabe, presente pur in posizione defilata. Omar Bashir ha, invece, rinunciato all’ultimo per evitare complicazioni a causa del mandato di cattura spiccato dalla Corte penale internazionale. Il leader Usa ha monopolizzato la scena anche per la “storica” stretta di mano con Raúl Castro, prima del suo intervento. Quest’ultimo ha definito Madiba un «profeta della riconciliazione». Mentre Ban, a sua volta, l’ha poeticamente paragonato a «un albero di baobab le cui profonde radici hanno raggiunto l’intero pianeta». «Un uomo che ha lottato e poi unito», ha aggiunto il premier italiano Letta. Un coro di fischi ha invece accompagnato l’intervento dell’attuale presidente Jacob Zuma. «Ha posto le basi per costruire il Sudafrica dei nostri sogni», ha detto mentre un mormorio di disapprovazione si levava dagli spalti. Lunghi applausi, al contrario, hanno sottolineato l’abbraccio tra l’attuale vedova Graca e l’ex moglie di Mandela – nonché protagonista controversa della battaglia anti-apartheid – Winnie. A strappare un sorriso a entrambe ha contribuito poi la battuta dell’arcivescovo Tutu. «Non vi darò la mia benedizione se nello stadio non ci sarà il silenzio assoluto. Non voglio sentir cadere una penna», ha scherzato il pastore anglicano, al termine delle quattro ore di cerimonia. In conclusione ha parlato anche il compagno di prigionia, Andrew Mokete. Quasi 87 anni di cui un quarto trascorso dietro le sbarre, l’uomo si è limitato a dire, con evidente commozione: «Madiba ci sta guardando dall’alto e senza dubbi sorride nel vedere la nazione unita». Mentre la folla fluiva, nello stadio, alcuni giovani recitavano l’ultima strofa della poesia di William Henley, tanto cara a Mandela e citata anche da Obama, «Non importa quanto sia stretto il cammino, quanto piena di castighi la vita: io sono il padrone del mio destino, sono il capitano della mia anima».
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