Non ci fosse stato internet questa al massimo sarebbe stata una storia da raccontare secondo il canovaccio della "Banda degli onesti", nella quale Totò e Peppino in veste di improbabili falsari stampavano valuta contraffatta. Invece il caso dei 134 miliardi di dollari in bond Usa sequestrati a Como nel 2009 è finito davanti alla Corte distrettuale di New York, che dovrà decidere se dare seguito a una richiesta di risarcimento colossale: mille miliardi di dollari. Con il rischio che ad essere chiamati a testimoniare debbano essere convocati persino Silvio Berlusconi e Ban Ki-moon.Gli sviluppi ruotano intorno ad una denuncia che la corte sta esaminando in sede civile. I giudici stanno valutando se chiamare a deporre il segretario dell’Onu, l’ex premier italiano, il governatore in pensione della Federal Reserve, Alan Greenspan ed altri funzionari governativi.L’atto di citazione è stato depositato dallo studio legale Bleakley Platt & Schmidt, uno dei più quotati della Grande Mela, per conto di Neil Keenan, un americano espatriato in Bulgaria il quale in 111 pagine sostiene che le Nazioni Unite, il World Economic Forum, il governo italiano e svariate altre agenzie internazionali hanno cospirato allo scopo di sottrarre più di 134,5 miliardi di dollari (quasi 100miliardi di euro) in strumenti finanziari in realtà destinati a sostenere iniziative umanitarie. Farneticazioni, sembrerebbe. In realtà un labirinto di specchi dentro al quale si muovono faccendieri, cospirazionisti, associazioni segrete ed emissari di agenzie di intelligence. Ognuno gioca in proprio. Come se, falsi o no che siano, quei titoli fossero lo strumento di pressione usato per ottenere vantaggi politici ed economici. È così che torna in scena la "Dragon Family", un’organizzazione dai contorni opachi, ma molto influente in Cina, Giappone ed altre tigri dell’economia asiatica. Contattato da <+corsivo>Avvenire<+tondo>, Neil Keenan conferma di essere un emissario della "Dragon Family" che a suo dire sarebbe stata derubata di quei titoli finanziari attraverso un complicato stratagemma messo in atto da alcuni uomini d’affari, compreso un ex appartenente alla loggia massonica P2. Quando gli chiediamo la prova dell’autenticità dei titoli, prontamente ci trasmette copia di una lettera di credenziali con cui nel 2001 la banca svizzera Ubs attestava la spendibilità dei bond poi sequestrati a Chiasso e dichiarati "fittizzi" dal governo americano. Il documento bancario è classificato come "Top secret". Ed è qui il primo colpo di scena. Richiesti di svolgere una verifica sul certificato, la sede di Zurigo della Ubs ha impiegato mezz’ora per spiegare di «ritenere che il documento non sia autentico». L’intestazione reca il logo della "Unione delle Banche svizzere", ma questa «già non esisteva più – spiega una portavoce dell’istituto – a seguito della fusione avvenuta nel 1998 tra Union Bank of Switzerland e Swiss Bank Corporation che ha portato alla creazione di Ubs Ag che non è acronimo, bensì nome legale della società». Timbri e firme sembrano però corrispondenti a quelli autentici. «Non è da escludere che qualche truffatore – spiega una fonte interna di Ubs – possa aver usato vecchia carta intestata per rivestire di autenticità titoli abilmente contraffatti».Gli addetti ai lavori non si nascondono però una domanda: «Perché mai uno dei più importanti studi legali di New York avrebbe dovuto accettare, anche se ben remunerato, di mettersi contro le principali istituzioni del proprio Paese, compresi Fbi e Cia, rischiando peraltro una incriminazione per aver prodotto documenti contraffatti?». L’avvocato William Hughes Mulligan, che guida il gruppo di legali che segue il caso, non vuole scoprire le carte, limitandosi a «rispettosamente dissentire dalle affermazioni di Darrin Blackford». Questi altri non è che un agente speciale dell’United States Secret Service, il quale in una mail ad
Avvenire spiegò che «i titoli sequestrati sono strumenti fittizzi».Per ricostruire a ritroso il percorso dei bond bisognerebbe sapere che fine hanno fatto i due misteriosi cittadini giapponesi scoperti il 3 giugno 2009 mentre tentavano di esportare in Svizzera i bond americani. Entrambi hanno lasciato l’Italia oltre due anni fa. Anche quella volta si ipotizzò il coinvolgimento della Corea del Nord. Alcuni mesi prima del clamoroso sequestro di Chiasso, il 2 marzo, ai militari della Guardia di Finanza capitò un episodio singolare. Alla dogana di Tirano (Sondrio) fu fermato un italo-svizzero che nascondeva 100mila
Won.Si tratta della valuta – quella volta ne fu assicurata l’autenticità – della Corea del Nord, che però può circolare solo all’interno del Paese comunista e non ha corso legale al di fuori dei propri confini. A chi fossero diretti quei soldi non si è mai saputo. Agli uomini dell’intelligence venne però in mente una crisi diplomatica di due anni prima, quando Stati Uniti e Nord Corea ruppero le trattative sul nucleare perché, fra l’altro, le autorità di Pyongyang erano riuscite a falsificare valuta e titoli Usa nel tentativo di far deprezzare il valore del dollaro.Intanto però a Como è andata avanti l’indagine e poi il processo ai due nipponici, con risvolti eclatanti. Il 55enne Mitsuyoshi Watanabe (imparentato con l’ex vice governatore della Banca centrale di Tokyio Toshiro Muto, dimessosi per ragioni personali qualche giorno dopo il sequestro dei titoli) alcuni anni fa aveva subito una condanna per frode. Si trattava dell’affaire "Japanese 57 Series Bond": titoli del valore nominale di 500 miliardi di yen, oltre 68 miliardi di euro. Obbligazioni autentiche, cioè stampate dalla zecca, ma da funzionari infedeli senza autorizzazione del governo né della banca centrale. In quell’occasione Yamaguchi non agì da solo. Aveva un complice di cui si erano perse le tracce: Mitsuyoshi Watanabe, oggi 74 anni. È lo stesso uomo che gli siedeva accanto sul regionale Como-Chiasso. In Italia avevano un complice: l’imprenditore Alessandro Santi, 75enne di Carimate (Como), in passato presidente dell’interporto di Roma. L’uomo ha patteggiato, con la condizionale, una pena a un anno e quattro mesi. Aveva annunciato di voler raccontare la sua verità. Poi scelse il silenzio.Il giallo però, non è chiuso. Che fine hanno fatto i «titoli fittizzi»? I "falsi" bond avrebbero dovuto essere distrutti dopo il processo. Le autorità italiane, che sulla vicenda si sono sempre espresse a singhiozzo, hanno scelto la prudenza. Falso o no, il malloppo di carte resta chiuso in cassaforte.