Ogni anno costa quanto il Prodotto interno lordo di Turchia e Svizzera messe assieme, e produce inquinamento pari a 3,3 miliardi di tonnellate di anidride carbonica. È lo spreco mondiale di prodotti alimentari, tema spesso sottovalutato, al centro invece dell’ultimo studio della Fao. Presentato ieri a Roma dal direttore generale Josè Graziano de Silva, il «Rapporto sulle conseguenze ambientali dello spreco di prodotti alimentari» elenca i tanti danni che ne derivano: in primis, arriva a costare 750 miliardi di dollari all’anno.Il volume globale dello spreco è stimato in 1,6 miliardi di tonnellate di «prodotti primari», mentre quello di cibo commestibile è pari ad 1,3 miliardi di tonnellate. Con effetti negativi anche sui cambiamenti climatici: in particolare l’agricoltura intensiva, che non consente periodi di riposo per i terreni, ne diminuisce la fertilità e induce all’uso di fertilizzanti chimici che provocano inquinamento e alla fine riduzione delle terre coltivabili. Secondo il rapporto, nel 2007 si sono utilizzati 1,4 milioni di ettari per produrre alimenti poi andati sprecati, pari al 28% del suolo agricolo mondiale e pari all’intero territorio della Federazione russa.Tra gli alimenti, quello dei cereali è un problema enorme soprattutto in Asia, perché ha grandi ripercussioni sulle emissioni di carbonio, sulle risorse idriche e sull’uso del suolo. Nella coltivazione del riso questo è particolarmente evidente, vista l’elevata emissione di metano che la sua produzione comporta e il grande livello di perdite. Mentre il volume degli sprechi di carne in tutte le aree del mondo è più basso, il solo settore carne provoca un grande impatto sull’ambiente, in termini di occupazione del suolo e di emissioni di carbonio, in particolare nei Paesi ad alto reddito e in America Latina, che insieme sono responsabili dell’80% di tutti gli sprechi di questo alimento.Si spreca anche troppa acqua, in una quantità pari a circa 250 chilometri cubi che equivale, come volumi, al lago di Ginevra o all’acqua che ogni anno si riversa nel fiume Volga. In Asia, America Latina ed Europa è colpa soprattutto dello spreco di frutta, che consuma in modo significativo le risorse idriche. Questi dati sono ancora più pesanti se si considera che, secondo le stime della Fao, la produzione alimentare mondiale dovrà aumentare entro il 2050 del 60% per rispondere alla domanda crescente. Per questo, l’organizzazione delle Nazioni Unite invita l’industria alimentare a permettere ai consumatori di acquistare solo la quantità desiderata, regalare gli alimenti commestibili invendibili magari perché scaduti e introdurre per gli articoli imperfetti la definizione di alimento «accettabile» e venderlo a minor prezzo.E in Italia? Da noi, intanto, è in atto un’inversione di tendenza. Lieve se confrontata col resto del mondo, ma pur sempre significativa. A segnalarla, la Coldiretti: in media ogni anno gettiamo nel bidone 5 tonnellate di cibo, ma negli ultimi 5 anni c’è stata una riduzione del 25%. «Forse l’unico aspetto positivo della crisi - sottolinea la confederazione - che ha determinato una maggiore attenzione degli italiani alla spesa, ma anche alla preparazione in cucina e alla riutilizzazione degli avanzi».