Il Parlamento è tutto da rifare. E per Ahmed Shafiq c’è il via libera definitivo nella corsa per la poltrona di presidente d’Egitto nel ballottaggio con Mohammed Mursi di domani e domenica. Spazzato via anche l’ostacolo finale sulla strada dell’ultimo premier dell’era Mubarak, quello che ha represso la rivolta di piazza Tahrir a partire dal 31 gennaio 2011, per essere deposto il 3 marzo. La Corte costituzionale egiziana si è espressa ieri, bollando come incostituzionale la legge che impediva ai politici del vecchio regime di candidarsi per le presidenziali. Dunque, Shafiq risulta idoneo alla candidatura. E se la vedrà contro il fratello musulmano Mohammed Mursi nel ballottaggio che, tra domani e domenica, chiamerà di nuovo alle urne gli egiziani.
PARLAMENTO DA RIFAREMa c’è di più. Già, perché i giudici della Suprema corte (nominati prima della Primavera che ha spazzato via Mubarak) hanno dichiarato contraria alla Costituzione anche una parte della legge elettorale, mediante la quale è stato designato il Parlamento, lo scorso inverno in tre mesi di voto. Un terzo dei parlamentari, quelli scelti su base individuale, sono illegittimi, quindi da stralciare. Il che rende invalido l’intero Parlamento, dato che non è possibile ri-votare solo una parte dei suoi esponenti. Per questo i giudici ne hanno chiesto il completo scioglimento. Sia nella sua ala “bassa”, la cosiddetta “Assemblea del popolo”, equivalente della Camera dei deputati, sia nel ramo “alto”, il “consiglio della Shura”, una sorta di Senato. La prima assemblea legislativa del dopo Mubarak è durata una primavera. La primavera di piazza Tahrir, invece, rischia di estinguersi nella burocrazia. «Ora spetterà all’esecutivo, guidato dal premier Kamal el Ganzoury, indire nuove elezioni», ha dichiarato ieri Farouk Soltan, il presidente della Corte costituzionale, la cui composizione è la stessa che operava sotto Mubarak. Un verdetto, quello della Corte, che di fatto suona come un doppio ko per i Fratelli musulmani del partito “Libertà e giustizia”. Sono senza dubbio loro ad avere avuto la peggio dallo scioglimento dell’assemblea legislativa, dove detenevano una salda maggioranza, benché relativa. E sarà il loro candidato, Mohammed Mursi, a doversela vedere domani e domenica con Shafiq allo spareggio. «Questa è ormai la realtà dei fatti – ha commentato ieri Mahmoud Ghozlan, uno dei portavoce di Mursi – dobbiamo confrontarci con essa». E in serata il candidato ha ribadito: le sentenze dei magistrati vanno rispettate. Ma dal comitato esecutivo di “Libertà e giustizia” c’è già chi mette in guardia e punta il dito contro la giunta militare: «Questo è un colpo di stato totale – commenta Mohammed Beltaji – equivale a far precipitare il Paese in un tunnel». Insomma, l’Egitto si avvia a scegliere il primo presidente della “seconda Repubblica”, in una situazione istituzionale a dir poco compromessa.
LO STALLO ISTITUZIONALENessuna nuova Costituzione, nessun Parlamento. A guidare il Paese è ancora lo Scaf, il Consiglio supremo delle forze armate, che il mese scorso ha rimosso, dopo 30 anni, lo stato d’emergenza, annunciando che avrebbe deposto il potere entro il 30 giugno. Ipotesi che oggi appare pressoché impossibile in assenza di un Parlamento eletto. Quello appena licenziato aveva fatto in tempo a nominare, giusto ieri l’altro, i 100 membri della commissione chiamata a redigere la nuova Carta costituzionale. Una Costituente che rischia di essere sciolta prima ancora di essere convocata. Tra gli altri ne fanno parte gli ex candidati a presidente Amr Moussa e Selim Al Awwa. Scartati invece, sia il nasseriano Hamdin Sabahi che il fratello musulmano dissidente Abdel Moneim Abul Fotouh, divenuti negli ultimi giorni i leader della nuova sollevazione di piazza Tahrir. «Mantenere il candidato militare, rovesciare il Parlamento eletto e dare alla polizia militare la facoltà di arrestare i civili è un colpo di Stato completo», il commento di Fotouh, affidato ad un tweet nel pomeriggio di ieri: «Chi pensa che i giovani faranno passare questo è un illuso».
LA PIAZZA IN FERMENTOGià, i giovani. Gli “shabaab al thawra”, i “ragazzi della rivoluzione”. Quelli che da un mese a questa parte non fanno che subire i colpi di una sorta di restaurazione. Dapprima il “ripescaggio” in extremis di Ahmed Shafiq, che la Commissione elettorale aveva escluso a fine aprile dalla corsa presidenziale. Quindi il suo approdo al ballottaggio. Poi la sentenza nei confronti di Hosni Mubarak, che se è valsa il carcere a vita per l’ex presidente, ha però scagionato i suoi due figli, Alaa e Gamal, oltre ai sei ufficiali della polizia, ritenuti i mandanti degli 850 omicidi avvenuti in piazza Tahrir un anno e mezzo fa. Ora lo scioglimento del Parlamento. I primi disordini si sono verificati già ieri accanto al Palazzo della Corte costituzionale, mentre in centinaia in serata convergevano su Tahrir. Il consiglio militare ha assicurato che le elezioni si svolgeranno come previsto. Ma si teme che la protesta possa tornare a infiammarsi durante la due giorni di voto.<+copyright>