«Il ragazzo si farà», pensarono i genitori quando Hamdi Ulukaya lasciò la comunità di
chobani, i pastori curdi che vivono da seminomadi spostando le greggi lungo l’Eufrate, per sbarcare negli States. Era il 1994. Aveva 22 anni, una laurea in Scienze politiche, sapeva come cagliare il formaggio, ma sognava l’America. Quasi impossibile per un
chobani dell’entroterra turco. Vent’anni dopo il pastorello è un 43enne che ha invaso con il suo yogurt greco le case degli yankee, raggranellando un patrimonio da 1,5 miliardi di dollari. Per vivere se ne farà bastare la metà. Gli altri 750 milioni - annuncia in esclusiva ad
Avvenire - li destinerà integralmente in attività filantropiche, specialmente rivolte a profughi e rifugiati. Una tipica storia americana: immigrato curdo con passaporto turco, diventa ricco grazie a un alimento greco, tuttavia prodotto a New York. Naturalmente, lo yogurt non poteva che chiamarsi 'Chobani'. La società nasce nel 2005 e all’inizio conta cinque dipendenti. Dieci anni dopo la forza lavoro sarà di oltre duemila addetti che producono varietà di yogurt per Stati Uniti, Australia, Gran Bretagna e Canada. Il successo non gli ha evitato qualche grana. Dalla battaglia giudiziaria condotta dall’ex moglie per ottenere una parte del patrimonio, alla necessità di trovare un modo sostenibile per smaltire gli scarti di una produzione casearia andata ogni oltre aspettativa. Quest’ultima sfida Ulukaya la sta affrontando alla sua maniera: il siero viene trasformato, e venduto, per integrare il mangime del bestiame; oppure viene conferi- to ai produttori di biogas. Quanto alle schermaglie con gli avvocati divorzisti, quella è un’altra storia. Al tempo delle supervalutazioni delle società che puntano tutto sul web, lo yogurt del 'pastore' riporta a terra, letteralmente, gli investitori di Wall Street. Coca Cola e Pespi, da sempre acerrime rivali, si stanno sfidando anche nel tentativo di acquistare una cospicua quota di minoranza dal tycoon turco. Il marchio viene valutato quasi 3 miliardi di dollari. Se l’affare andasse in porto anche per un pacchetto pesante un terzo della proprietà, il figlio del pastore dell’Eufrate porterebbe a casa un altro miliardo. Una buona notizia anche per i profughi, a cui Ulukaya già destina il 10% dei profitti annuali, da sommare ai 750 milioni degli asset che andranno in beneficenza. Il braccio operativo delle operazioni umanitarie sarà la fondazione 'Tent', che non a caso sta per 'tenda'. È stata istituita da Hamdi Ulukaya, che annuncia di aver coinvolto anche altre multinazionali, come Airbnb, Ikea Fundation, Mastercard e Ups, le quali si impegnano a promuovere non solo l’assistenza ma anche l’integrazione dei rifugiati. Chobani ne ha già assunti 600. Il progetto della 'Tent Fundation', divenuta partner dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati, verrà presentato martedì a Davos durante l’annuale 'World economic forum' nella località delle alpi svizzere. Secondo il patron di Chobani, il settore privato può essere decisivo nell’affrontare l’emergenza profughi, perché in grado di poter integrare i rifugiati nei processi produttivi, facendoli sentire da subito protagonisti del proprio destino e non più degli 'assistiti', costretti in un limbo senza futuro. In questa direzione 'Tent Fundation' ha annunciato un intervento immediato da un milione di dollari. Verranno finanziati, in 20 pacchetti da 50mila dollari ciascuno, gruppi e organizzazioni che affrontano la crisi dei rifugiati in Europa, Medio Oriente e negli altri continenti. «L’evoluzione crescente, l’impatto e la prosecuzione della crisi dei rifugiati ci obbliga ad esplorare nuovi modi di risolvere la più grande sfida umanitaria del nostro tempo», spiega Ulukaya, che a tutti si presenta fieramente come immigrato. Un biglietto da visita che potrebbe mettere in disordine l’acconciatura del miliardario Donald Trump, il quale sta fondando la corsa verso la Casa Bianca su una martellante campagna anti-immigrati. E che adesso dovrà vedersela anche con un barattolo di yogurt.