A trent’anni dall’apocalisse industriale che colpì la città indiana di Bhopal nella notte tra il 2 e il 3 dicembre 1984, la giustizia per le forse 20mila vittime – 8.000 nelle prime settimane, gli altri fino a oggi – resta lontana, e la tragedia continua a pesare sulla coscienza di un’intera nazione. La più grave contaminazione industriale della storia, dovuta alla fuoriuscita di 40 tonnellate di isocianato di metile dagli impianti in avaria della Union Carbide, ha segnato in vario modo nel tempo 550mila persone, di cui 120mila in modo permanente, ma a accrescere dolore e frustrazione è la sostanziale mancanza di giustizia.La Union Carbide è stata infatti acquistata nel 1997 dalla Dow Chemical, colosso statunitense, dopo avere ceduto nel 1994 le sue attività alla consociata indiana che a sua volta ha cambiato nome e struttura. La Dow Chemical sostiene di non avere alcuna responsabilità per colpe di un’altra azienda e che i compensi versati a seguito di un accordo extragiudiziale con il governo di New Delhi nel 1989 (470 milioni di dollari) dalla Union Carbide hanno chiuso ogni contenzioso. Il presidente della multinazionale al tempo del disastro, Warren Anderson, è deceduto lo scorso 29 settembre a 92 anni, a piede libero dopo essere stato rilasciato su cauzione in India nel 1984. Resta la pesante lezione di allora. «Anche se non abbiamo più assistito a un’altra tragedia come quella, il Paese continua ad avere tante mini-Bhopal – segnala Sunita Narain, responsabile del think-tank ambientalista “Centre for Science and Environment”, con sede a Delhi –. Incidenti industriali che spengono vite e pongono nuove, pesanti minacce all’ambiente». «Bhopal non deve essere dimenticata perché – ricorda Narain – è stata colpita da due tragedie: una immediata e l’altra che si è delineata negli anni».La popolazione della città vive infatti nell’incubo della contaminazione per i rifiuti tossici scaricati per 15 anni dalla Union Carbide India Limited all’interno e all’esterno dei suoi impianti, che oggi come un tempo dominano un’area economicamente e socialmente depressa. Suolo e acque sotterranee sono fortemente inquinati e questa seconda emergenza – che gli attivisti definiscono «Disastro Bhopal 2.0» – minaccia un numero di abitanti ancora superiore al primo. Come indica l’attivista Chandra Bhushan, «il peggio è che la decontaminazione si trova imbrigliata in vincoli legali su come intervenire, su chi dovrebbe farlo e chi dovrebbe pagare. Questo mentre l’inquinamento si estende e la Dow Chemical nega la bonifica».