Caro direttore,
in queste ore si stanno certo moltiplicando le riflessioni sul cardinal Martini. Accolga non tanto la mia, quanto quella che ci ha offerto questa mattina, nella Messa con i seminaristi di V teologia qui a Venegono, don Pierantonio Tremolada, vicario della Diocesi di Milano. Egli ha individuato tre caratteristiche in Martini. La prima è che era un uomo innamorato di Dio.
Del cardinale si dice che era un uomo della Parola di Dio. Don Pierantonio ha fatto notare che tale era, perché egli sapeva che attraverso la Parola di Dio, ascoltata, compresa, vissuta, egli poteva ascoltare, conoscere, vivere Dio, il che vuol dire essere amato da Lui e amare Lui.
Da qui, dalla familiarità con Dio che è frutto dell’amore per Lui e di Lui, gli veniva la seconda caratteristica, quella di essere un uomo sapiente, cioè di avere uno sguardo sia sugli uomini che sugli avvenimenti storici “somigliante” a quello di Dio. Ecco perché era capace di ascoltare ogni persona, si interessava di ogni persona, cercava di capirla per quella che era; ed ecco perché quasi sempre i suoi interventi su quello che accadeva nel mondo erano centrati. Notevole un’altra osservazione: la sua grande capacità di accostare le persone, pur essendo Martini un uomo da uno stile che incuteva all’inizio timore e pur avendo lui un carattere di per sé timido e schivo. Tutto ciò – ed era la terza caratteristica del cardinale – trasmettendo sempre speranza. Egli non era un semplificatore, quindi la sua speranza non era a buon prezzo. Al contrario, egli era sempre attento a cogliere la complessità delle situazioni, a non offrire illusorie proposte di soluzione dei problemi. Lo si è visto in questi ultimi anni, quando in lui c’era tanta sofferenza di fronte a quello che è emerso a riguardo di diverse situazioni della Chiesa, tanto che una domanda che più volte in lui ritornava era la seguente: “Ma dove sta andando la Chiesa?”. Anche in questa sofferenza e con questa domanda non ha mai smesso di trasmettere speranza. Da parte mia, d’accordo anche su questa terza caratteristica, la metto meglio a fuoco dicendo che, pur essendo un uomo che coglieva la complessità della realtà, non era un complicato o un complesso ma un semplice. La semplicità in un uomo così colto, così esperto, così ricco di doti comunicava speranza a chi lo accostava, sia personalmente, sia nei suoi scritti o interviste.
don Umberto Dell’Orto, Venegono Inf. ( Va)
Caro direttore,
non uso scomodare parole pesanti, ma mi permetta di esprimere vibrante indignazione per il modo in cui taluni organi di stampa “laicisti” stanno mancando del benché minino rispetto nei confronti del defunto cardinale Martini, essendosi precipitati a strumentalizzare il porporato per atteggiarlo a paladino dell’eutanasia, con una incresciosa operazione mistificatoria. Penso che nessun defunto meriti questa oltraggiosa manipolazione postuma, sprezzante della verità e della pietà.
Alessandro Martinetti, Ghemme (No)
Caro direttore,
ho appena appreso la triste notizia della morte del cardinal Martini, arcivescovo nella mia Diocesi negli anni della mia adolescenza.
Vorrei scrivere tante cose, ma non me ne sento all’altezza. Una, però, mi preme tanto: sui siti online, ai quali mi sono via via collegata, ho letto trionfanti commenti – soprattutto di politici – sul «rifiuto dell’accanimento terapeutico», e mi sono ribellata; dentro di me si è levato il grido “Basta!”. Questo è il momento della preghiera, del cordoglio, del rispetto, del silenzio e non certo della polemica o della distorsione e strumentalizzazione di una scelta tipicamente cattolica: no all’eutanasia, no all’accanimento terapeutico.
Ebbene, dice uno di questi politici, Nichi Vendola, che quello del cardinal Martini «è un atto straordinario su cui tutti, a partire dai vertici della Chiesa, devono riflettere con la delicatezza che merita la questione». Ma su che cosa dovrebbe “riflettere” la Chiesa, che sul tema è già straordinariamente chiara? I soliti noti hanno ritirato fuori le loro polemiche e argomentazioni trite e ritrite. Desolante.
Arianna Magni
Gentile direttore,
ho l’impressione che qualcuno cerchi di fare del cardinale Martini un alfiere del rifiuto dell’accanimento terapeutico in contrasto con la morale cattolica. In realtà il catechismo cattolico prevede che la rinuncia alle procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. Del resto lo stesso medico del cardinale ha dichiarato che la nutrizione artificiale o delle cure straordinarie non sarebbero servite a nulla.
Qualsiasi riferimento al caso Englaro è fuori luogo in quanto Eluana non era una ammalata terminale, ma una grave disabile che poteva vivere ancora molti anni se non le fosse stata tolta la nutrizione.
Jacopo Cabildo
Caro direttore,
una voce dal “basso”. Voce di una comunità, ma chissà quante potrebbero testimoniare, riguardo al nostro amato cardinale Carlo Maria Martini, le stesse cose: sotto una scorza di severità, una capacità di ascolto davvero rara, di calore, di amore verso tutti, un “cuore” per nulla inferiore alla profondità e all’acutezza dell’intelligenza e della cultura. Il “cuore”, dicevo, quello che la gente sentiva immediatamente nelle parole e negli scritti del cardinale e che ha segnato per sempre la vita di tutti noi in questi 23 anni. Nella mia comunità, durante una visita pastorale, gli era piaciuto molto lo striscione con la scritta «Benvenuto» che lo aveva accolto, come i piccoli doni che la gente gli offriva sul piazzale della Chiesa dopo la santa Messa così intensa. «Volevo dirle che lei qui, eminenza, è molto amato». «Lo so» e tu sentivi la verità in quelle parole. Quando aveva invitato i Centri di Ascolto del Vangelo, che si formavano nelle case in tutta la diocesi, a farsi sentire, a comunicare per iscritto il loro “esserci”, non aveva esitato a citare il piccolo gruppo di una frazione parte di una frazione più grande, perché «il Regno di Dio germoglia anche da piccoli semi». Soprattutto quando le suore della nostra scuola materna avevano subito una rapina e una di loro aveva subito una violenza innominabile, alle ore 10 dello stesso giorno, lasciati tutti i suoi impegni, era già sul posto. E per anni rispondeva con lettere personali di suo pugno, con quella sua grafia minuta ma chiarissima, alle lettere periodiche della suora. Però a tutti rispondeva con quella brevità sobria ma illuminante che scaldava il cuore. Per questo tutti ci sentiamo tristi, ma felici per lui. Per questo chiedo l’anonimato sia mio personale, sia della mia comunità: chissà quanti altri episodi, senza dubbio più importanti, saranno segretamente custoditi nel “cuore” della gente e continueranno ad illuminarne la vita.
Lettera firmata
Caro direttore,
in merito alle vicende e alle polemiche sulla morte del mai troppo compianto cardinale Martini, mi sembra giusto ricordare che lo stesso cardinale Martini diceva no all’accanimento terapeutico, ma no anche all’abbandono terapeutico. Pensare che “staccare la spina” faccia morire naturalmente e “in pace” è pura ipocrisia, soprattutto in certe situazioni. Si muore forse prima, ma comunque in modo atroce. Mi sembra che certe posizioni riflettano l’egoismo dei “non morituri subito” piuttosto che il bene dei malati terminali. La medicina dovrà studiare cure palliative alternative per impedire che si muoia atrocemente soffocati, o di fame e di sete, dopo avere staccato la fatidica spina.
Grazie comunque al cardinale per la sua testimonianza ininterrotta di fede.
Antonella Lignani
In questi momenti di preghiera cristiana e di rispettoso raccoglimento faccio davvero fatica, cari amici e amiche, a concepire le polemiche suscitate da certi opinionisti e da taluni politicanti e non riesco a capire come si possano compiere, senza vergogna, simili deformazioni di fatti e verità. Dico solo che i tentativi di stravolgere e strumentalizzare in chiave antiecclesiale il senso delle ultime ore terrene del cardinale Carlo Maria Martini mi ricordano amaramente quelli operati addirittura contro il beato Papa Giovanni Paolo II. Che squallore, e che ingiusti e tristi (questi sì) accanimenti… Ma la consapevolezza di ciò che vale e la speranza illuminata dalla fede in Gesù Cristo sono assai più grandi. L’Arcivescovo emerito di Milano ha testimoniato sino all’estremo, nella fragilità della sua stessa condizione, la Parola di Vita integralmente offerta.