Caro direttore,
giovedì Papa Francesco ancora una volta ci ha richiamato a guardare oltre, ad andare alla radice della povertà sollecitandoci ad agire con coraggio e fermezza a sostegno dei tanti fratelli perseguitati e disperati che scelgono la via del mare nella speranza di un futuro migliore. Le migrazioni forzate rappresentano oramai una sfida alla pace, e non possono essere affrontate dagli Stati solo rincorrendo le emergenze, ha detto il Papa. Voglio dire grazie a Papa Francesco per le sue parole, anche a nome dei tanti volontari internazionali che quotidianamente, per esempio nei villaggi del Sahel, assistono impotenti al nascere di progetti migratori senza poter aiutare la comunità locale a creare, lì, nello loro terra, soluzioni di speranza. Nascono così quei progetti migratori della speranza, che spesso però porta alla morte, sostenuti anche economicamente da tutta la famiglia allargata, affinché un figlio o un fratello tentino l’avventura europea. Da un certo punto di vista, un gesto di paternità e maternità responsabile che impegna tutto pur di dare un futuro ai propri figli. Ma anche un gesto sofferto, dato che molti conoscono anche le difficoltà a cui questi figli andranno incontro. Eppure, la disperazione del contesto li induce a rischiare. Sappiamo come si potrebbero creare opportunità di lavoro in loco per questa gente, come si potrebbe offrire ai giovani la possibilità di contare su loro stessi. E in questa direzione cerchiamo di dare il nostro contributo, seppure con poche risorse e forze. Dibattere solo sul rafforzamento di Frontex è eludere il problema: l’emergenza c’è, ma oltre a gestirla va finalmente considerato che migrazione (almeno quella dovuta a fattori economici) e cooperazione, sono due facce della stessa medaglia.
Gianfranco Cattai - Presidente FOCSIV
La parola del Papa, ancora una volta, ci ha indicato la direzione giusta e ci ha rischiarato il cammino, caro presidente Cattai. E il grazie della Federazione degli organismi cristiani di servizio internazionale volontario è anche il grazie mio e dei miei colleghi. Credo che non siamo stati i soli, noi e voi, giovedì scorso, a pensarlo e a dirlo leggendo le parole che il pontefice ha rivolto a un gruppo di ambasciatori provenienti da ogni continente. Credo che quel grazie accomuni tutti coloro che – come gli amici della Focsiv – operano nel "gran campo del mondo" da costruttori del tempo di pace e giustizia che deve venire, e che verrà. E credo che sia sentito anche da tutti quelli che – come i cronisti di questo giornale e come gli uomini e le donne impegnati, a diverso titolo, per una buona politica e una buona economia – non si rassegnano alle raffiche di cattive notizie e alle disumane pratiche che sono il frutto dell’intrecciarsi di conflitti, cupidigie, ingiustizie, sporchi affari e migrazioni forzate.
Verissima è la conclusione di questa lettera: senza una vasta e forte cooperazione internazionale allo sviluppo integrale delle persone e dei popoli non si potrà spezzare la violenta spirale che induce milioni e milioni di persone alla migrazione per fame e/o alla fuga per guerra e persecuzione. Non si porrà, cioè, fine all’autodeportazione di se stessi e della propria speranza che troppi esseri umani sono costretti a compiere. Un fenomeno che si ripete in ogni angolo del globo e con particolare intensità nelle zone, come la nostra area mediterranea, dove il Nord e il Sud del mondo si sfiorano e ormai si toccano e, a tratti, si confondono.
Di fronte a tutto questo con parole di padre e ansia di fratello, che anche i non cristiani comprendono, Francesco ci dice che sarebbe una scelta sbagliata e persino folle continuare soltanto a presidiare frontiere, magazzini e poteri, rendendoli sempre più armati. Ci ripete che sarebbe gravissimo – e continua a essere mortale – non cominciare finalmente e con decisione a cambiare le condizioni di ingiustizia che agli occhi dei poveri (e di sempre più persone consapevoli) rendono così duri e fragili quei limiti di Stato, così vergognosi quei mercati d’armi e quelle stragi di migranti, così nemici e lontani quei palazzi. Ci conferma che è proprio questo il momento di vedere, di ascoltare, di agire, di crederci, di guadagnarci davvero un altro mondo. E noi sappiamo che tutto questo ci riguarda: è qui, in Italia e in Europa, che dobbiamo saperlo fare.