sabato 20 aprile 2013
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Gentile direttore,
«Senza il Vaticano l’Italia sarebbe migliore?». Con questo titolo un po’ retorico e ad effetto, fatto ad arte per surriscaldare gli animi e per attirare pubblico, i paladini del laicismo offrono in questi giorni a Reggio Emilia, e non solo, le Giornate della Laicità. Il tema principale seguirà il filone ispirato dall’intervento del professor Stefano Rodotà e cioè «Il diritto di avere diritti» nella mutevolezza e nel cambiamento continuo della società e dei suoi costumi. Sotto l’intenzione di prendere a bersaglio il Vaticano c’è molto di più. Tutto muta e cambia secondo il laicismo e dunque perché non aprire alla marijuana libera o alle stanze del buco (per drogarsi) come a Parigi e presto anche a Londra senza ascoltare i genitori, i nonni, i medici, gli educatori? Tutto è mutevole e dunque perché non permettere le gravidanze "affittando" l’utero di poverissime donne indiane per dare un figlio a una coppia di uomini? Perché non permettere gratuitamente tutte le pillole "del giorno dopo" alle minorenni? Perché accettare ancora l’obiezione di coscienza dei medici all’aborto che si fonda sull’articolo 3 della Costituzione ed è un diritto inviolabile della persona? Perché rianimare un infartuato o curare un anziano che non guarirà? Senza tirare in ballo la religione e il Vaticano, non si dovrebbe scappare però da queste domande: chi pagherà i danni da incidente stradale dovuti all’uso di cannabis? Chi consolerà i genitori, i figli, il coniuge dopo le tragedie dello sballo? Chi aiuterà i giovani dopo che avranno fatto tutto quel che volevano e sentiranno il vuoto? Chi dirà a un bambino che cerca il suo vero padre che questi è un anonimo donatore (o venditore) di seme, o a un nipotino che il nonno era meglio che morisse? Secondo gli organizzatori delle Giornate della Laicità la colpa dell’arretratezza dell’Italia (e forse del mondo) è del Vaticano, ma questo è un ritornello sempre meno ascoltato...
Gabriele Soliani, Reggio Emilia
 
Già, caro signor Soliani. Ma visto e considerato che Stefano Rodotà, relatore principe in quel del Festival laicista di Reggio Emilia, è stato ed è ancora decantato come candidato di "garanzia" e di "cambiamento" da un battagliero gruppo di novisti e vecchisti della politica e della opinionistica italiana, forse è il caso di aggiungere una domanda alla raffica che lei propone: ma come si fa pensare di poter sostenere che un intellettuale ed ex politico così fortemente e duramente schierato è «uomo di unità»? A mio parere, poi, basta e avanza la sua negazione del diritto all’obiezione di coscienza per coprire di ridicolo chi si affanna a qualificarlo come "super partes". Chi non riconosce e non rispetta laicamente e "senza se e senza ma" quel fondamentale diritto di ogni persona umana, chi non accetta che un uomo o una donna possano rifiutare di farsi complici di qualunque atto che in qualunque modo porti morte, può anche essere cittadino specchiato e giurista raffinato, ma non potrà mai essere una figura alla quale guardare con fiducia e alla quale affidare la più alta magistratura della nostra libera e democratica Repubblica. Per questo, caro amico, credo che certa predicazione di Rodotà sia triste, come questa sua candidatura a presidente usata come bandiera ed esca.
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