mercoledì 6 aprile 2016
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il direttore risponde Gentile direttore, chi fosse realmente Giulio Regeni forse neppure chi lo conosceva bene lo saprà mai, ma per carità e rispetto verso chi ha dato la vita per la patria chiederei di non farne un eroe. Se questo giovane avventuriero, era seguito, come sembra, dai servizi, e se nel dossier egiziano ci sono prove di questo, allora si vede che non si fidavano troppo di lui. Come mai? Continuo a chiedermi perché lo si è definito un “ricercatore”. Infatti, se lo fosse stato realmente per quale ragione tanto interesse nei suoi confronti? E, poi, quali erano le sue frequentazioni? I ricercatori, di solito, hanno una precisa connotazione: in Egitto normalmente s’interessano di archeologia, invece Regeni francamente non si è mai compreso bene di quali ricerche si occupasse. Sia ben chiaro, per nessuna ragione al mondo si può giustificare la tortura, però questi ragazzi che vanno all’estero per degli scopi più disparati, compresi quelli umanitari, dovrebbero avere genitori con più buon senso di loro… Sarebbe bene che li avvertissero dei pericoli che si corrono in certi Paesi, per non trovarsi poi di fronte a bare su cui piangere. Enzo Bernasconi Varese C aro direttore, una mamma con le lacrime agli occhi, che non smette di ripetere “Allahu Akbar”, Dio è grande. È la prima volta che sente al telefono suo figlio Ibrahim. Il ragazzo, a sua volta, non riesce a trattenere le lacrime dopo aver riascoltato la voce rassicurante di sua madre. Un grido di lode a Dio che ha ancora più significato, dopo quel maledetto aprile del 2011, che ha segnato il viaggio senza ritorno del figlio maggiore, partito insieme a un cugino. Il ragazzo, infatti, dopo essersi imbarcato su un gommone in partenza dall’Egitto insieme ad altri 250 migranti, visse una tremenda avventura di 20 giorni in mezzo alle onde del mare. Quando intravide una nave mercantile all’orizzonte, si accese in lui la speranza, ma proprio durante il passaggio dalla precaria imbarcazione, alla solida nave, le forze vennero meno, ed ancora una volta fu il Mediterraneo ad avere la meglio. Fortunatamente a lieto fine invece la storia del fratello sedicenne, sbarcato ieri a Salerno. Ibrahim anche lui su un gommone, è partito insieme ad altri connazionali, ma quando la nave mercantile norvegese li ha avvistati in mare, in lui è riaffiorato il triste ricordo della tremenda fine del fratello. Il giovane egiziano proviene da un piccolo villaggio dove la vita non è mai stata facile. L’energia elettrica è presente solo per poche ore al giorno e l’acqua, alle volte è un miraggio. Nonostante la tragica esperienza del fratello maggiore, povertà, mancanza di sicurezza, e aspettative future quasi nulle, hanno spinto la famiglia di Ibrahim a pagare ai mercanti di vite umane, l’ingente somma di 3mila euro, ricavata vendendo gran parte di ciò che avevano, compreso un piccolo terreno, e gli animali presenti: unica fonte di sostentamento. Sceso dalla nave, insieme ad altri 545 migranti, di cui 41 minorenni, Ibrahim, è rimasto seduto nel porto mercantile di Salerno, nell’attesa di riascoltare la voce della madre, nella speranza di poter assicurare un futuro dignitoso a sé e ai suoi. In compagnia di Mohamed e Ahmed, altri due minori egiziani sbarcati giovedì nella cittadina campana, Ibrahim, è stato accolto venerdì primo aprile, nella Comunità educativa salesiana per minori, “16 Agosto” di Bari, gestita dall’associazione “Piccoli Passi Grandi Sogni”. Un evento avvenuto, forse non a caso, in una data speciale. Il primo aprile, infatti, si festeggiava l’82° anniversario della canonizzazione di Don Bosco, che dopo tanti anni, continua a tenere aperte le porte di casa sua, per accogliere giovani in difficoltà: adesso, come ieri e come domani. Don Antonio Carbone salesiano Torre Annunziata Qualche lettore si stupirà della mia decisione di mettere insieme due lettere così “lontane”: il signor Bernasconi che manifesta, anche con asprezza, i suoi dubbi su “Giulio Regeni, ricercatore” e vittima, in Egitto, di torturatori spietati e infine assassini e don Antonio, salesiano, che racconta la storia a (provvisorio, ma promettente) lieto fine di un minorenne egiziano “migrante economico” approdato sulle nostre coste in cerca di domani per sé e per la propria famiglia che ha dato letteralmente tutto per consentirgli di varcare il mare, un mare che si era già preso suo fratello maggiore. Se è così, spero che la sorpresa duri poco e subentri la riflessione. Se ci sono ricercatori politici come il giovane dottor Regeni che scelgono, prendendo dei rischi niente affatto piccoli, di investigare “sul campo” in Egitto è anche perché in quel grande Paese in transizione, che rappresenta la cruciale “cerniera” geopolitica e culturale tra il Nord Africa e il Medio Oriente, si continuano a scrivere storie di ordinaria povertà e di straordinario rifiuto della rassegnazione proprio come quella del giovanissimo migrante Ibrahim e della sua famiglia. Forse stupirò ancora qualcun altro (anche se penso che tanti sono arrivati o stanno arrivando alle mie stesse conclusioni), ma provo gratitudine per questi giovani che vogliono cambiare il mondo con il proprio studio applicato (Giulio) e con il proprio sacrificio e il proprio lavoro (Ibrahim). E sono grato ai loro genitori. Ai genitori di Giulio che soffrono, ma non dimenticano le altre persone vittime, in Egitto, di sparizioni e torture e che – con tenace pudore delle immagini forti di cui pure dispongono – non ricorrono al sensazionalismo, sfidando con misurata forza potenti e signori dell’ombra a far emergere la verità sull’orribile morte inferta al figlio. Ai genitori di Ibrahim che per dare al loro ragazzo una possibilità di degno futuro hanno sacrificato ogni loro piccolo avere, proprio come per tanto tempo fecero (e ancora fanno) i poveri di denaro, ma non di speranza, di casa nostra. Ma sono anche grato a tutti coloro che come don Antonio, e gli altri figli di Don Bosco, fanno sì che Ibrahim e i suoi “fratelli” non si perdano e trovino una buona strada e la luce che aiuta a percorrerla. Dico infine grazie anche al signor Bernasconi per i suoi sospetti. Anche domande così spigolose e dure possono essere utili, se non ci si innamora del loro suono e si è capaci di riconoscere le risposte. © RIPRODUZIONE RISERVATA I genitori e la sorella di Giulio Regeni
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