So, gentili e cari amici, che la paradossale battuta da cui prendete le mosse circola, ma non so se sia davvero attribuibile a Jacques Maritain (che il laicismo anticlericale della seconda fase della sua vita superò, infine e definitivamente, nella libera accettazione della fede cattolica). So invece per certo, e cerco di non dimenticare, che «non basta essere chiamati cristiani, ma bisogna esserlo davvero». Parola di Ignazio di Antiochia, vescovo e martire, condannato ad bestias – cioè a essere divorato dalle fiere, a Roma, capitale imperiale – nel nome del “pensiero dominante” (e quasi unico) del suo tempo. Ricorro a quest’altra citazione, che non per caso è di un “chierico” cristiano carcerato e messo a morte per la sovversiva colpa di credere, per dirvi che una persona che segue Gesù Cristo – vero Dio e vero uomo – si misura certamente coi paradossi, ma non si definisce mai “per sottrazione” o per “esclusione”. A una “sottrazione” e a una “esclusione” richiama invece ogni parola, e concetto, che s’inaugura con il prefisso oppositivo “anti”, e ne è la prova proprio certo vecchio e tenace anti-clericalismo che tenta di imporre una spregiativa veste dogmatica all’umanesimo cristiano e all’impegno, che ne discende, a difesa della vita. Impegno che si fa carico di ogni fragilità e libertà umana, ma non è intermittente. Non pretende, cioè, di decidere il momento in cui un’esistenza comincia o smette di aver valore e di meritare rispetto, non dimentica nessuno dei “senza voce” (piccoli, poveri, stranieri, malati, carcerati) e non insedia l’io al posto di Dio. A me, poi, piace molto un’espressione di papa Francesco che nell’omelia di una delle Messe mattutine a Santa Marta (il 12 settembre 2013) ci ha ricordato che per essere buoni cristiani «non c’è altra strada» che «contemplare l’umanità di Gesù», e insieme tutta «l’umanità sofferente», che del Sofferente che ha vinto la morte è la carne stessa, e il volto. E un cristiano che vede il male, la fame, la sopraffazione e l’ingiustizia, non può inchinarsi, restare in silenzio e con le mani in mano.Penso da tempo che tra i radicali pannelliani «anti-clericali» ci sia chi riesce a fare almeno un terzo del cammino del «buon cristiano» così come efficacemente lo delinea Francesco. Ma continuo pure a pensare che ne manca sempre un po’ per arrivare alla pienezza “umanitaria” della seconda metà del percorso (sulla prima, quella che guarda a Gesù, non oso dire mezza parola). L’ho scritto. E in qualche occasione, quando sono stato invitato a confronto, l’ho anche detto dai microfoni della vostra radio: avete avuto per anni più coraggio e visione di tanti di noi nel vedere certe storture dei sistemi politici italiano e mondiale, ma oggi sono tante voci cattoliche – e papa Francesco ci aiuta enormemente – a vedere più lontano e a parlar chiaro a proposito della tenaglia che tecnoscienza ed economia, tenendo in soggezione la politica, stringono sulla vita di persone e popoli, e sulle relazioni che danno senso all’esistenza di tutti e di ciascuno. A rafforzarmi nella convinzione che non siete affatto infallibili, è la constatazione che non tutti i frutti degli alberi delle battaglie pannelliane sono stati (e sono) buoni, ecco perché – come tanti altri, credenti o no – non rinuncio a distinguere la pianta buona da quella cattiva o addirittura tossica. E questo non significa «guardare in cagnesco», ma non limitarsi a guardare e sforzarsi di vedere.Ciò detto, gentili amici, amo il dialogo, e mi piace ascoltare e discutere opinioni diverse dalla mia. Ma non mi piacciono gli ascolti finti, le discussioni sterili. Per questo sento che la speranza si fa più forte quando capisco che ci sono battaglie che i “differenti” possono e sanno fare insieme. Così, per esempio sulla questione della maternità surrogata, o degli «uteri in affitto», dove voci laicissime si uniscono alle nostre con argomentazioni forti e coincidenti. Così nella battaglia per un diritto liberato dall’assassinio di Stato della pena di morte e sulla sfida di fare della carceri, qui e ora, e non solo in Italia, ciò che la Costituzione italiana (art.27) dice con chiarezza: un luogo ri-umanizzante. Qui le voci di cattolici e radicali si uniscono da tempo. Accadrà di nuovo domenica 6 novembre, giorno che il Papa ha dedicato al Giubileo dei carcerati, “consegnando” idealmente la «cattedrale del mondo», San Pietro, ai detenuti che potranno esserci fisicamente con le loro famiglie, al personale degli istituti di pena, ai cappellani, ai volontari nonché a tutti quelli che potranno “partecipare” solo da lontano. Accadrà perché voi radicali avete liberamente deciso di aggiungere, in quello stesso giorno, col vostro stile, ma in voluta stereofonia, una Marcia lungo la via della giustizia, accostando il nome del vostro storico leader, Marco Pannella, a quello del Papa. I nomi di riferimento pesano sempre, ma i cristiani sono donne e uomini di sostanza e, dunque, conta di più la qualità delle intenzioni. Siamo stati attenti a tante vostre iniziative e denunce in tema di carcere. Come potremmo non esserlo anche stavolta?