«È grave che un governo abbia legiferato in questo modo in un momento di
vacatio istituzionale. Ricorrere a un decreto legge in campo economico è da regime sudamericano, non da democrazia occidentale. Ci voleva un’ampia discussione parlamentare. Io dico che su questo decreto pende addirittura il vizio di incostituzionalità ». Non usa perifrasi Giulio Sapelli, docente di Storia economica ed Economia politica all’Università Statale di Milano, sulla contestata riforma della banche popolari.
Professore, perché parla di incostituzionalità? «Perché non è pensabile che si modifichino con un decreto legge gli statuti di banche private. In ogni caso, le banche popolari svolgono talmente bene il loro ruolo di sostegno al territorio che non c’è proprio nulla da riformare. E poi sono tra le più sane, tant’è che le più grandi hanno superato i recenti stress test. Invece si è fatto un colpo di stato bancario, in barba al principio di sussidiarietà».
Ma quali sono le vere ragioni di questa decisione del governo Renzi? «La motivazione è che con questa operazione circolerà più credito nel sistema. Una tesi assurda. La commissione europea ha dimostrato con uno studio che le banche popolari sono le uniche ad aver fornito credito anche durante la crisi. Questo perché il voto capitario, avendo lo scopo di evitare che si creino gruppi di potere, fa sì che si riversino risorse finanziarie sul territorio. Dietro a questo decreto del governo c’è dell’altro...».
Sia più chiaro professore, a cosa si riferisce? «Alla base c’è un odio ideologico contro princìpi che affondano le radici nella tradizione cattolica e nel riformismo socialista. Il presidente Napolitano non avrebbe mai firmato un simile decreto. Questo è l’unico governo ad avere attaccato le banche cooperative. È un fatto unico nella storia europea e internazionale. Il fatto è che l’Italia è sempre più in vendita agli stranieri».
Allude a qualche occulta operazione finanziaria? «A speculazioni che si vogliono fare svendendo l’Italia. Oligopoli finanziari che vogliono impossessarsi con pochi soldi delle nostre banche popolari. Con la complicità di qualche manager che non crede più nella missione cooperativa».
Non le sembra di sparare un po’ nel mucchio? A chi si riferisce precisamente? «I mandanti di questa sorta di rapina stanno oltre confine, dalle parti della Banca centrale europea. E per quanto riguarda il nostro Paese gli ordini di scuderia vengono – a mio avviso – direttamente da Carlo De Benedetti. Fatto sta che in Italia non riusciamo mai ad avere una politica indipendente dall’economia».
Qualcuno mormora che questa operazione, attraverso un gioco di acquisizioni, punti a salvare qualche grossa banca in difficoltà... «C’è davvero chi si illude che espropriando patrimoni alle grandi banche popolari si possano salvare Monte dei Paschi a Carige. Ma queste sono pozzi senza fondo. Sono fallite per mala governance e per estesa corruzione. Si possono salvare solo se tornano a essere banche locali».
Beh, non è che le popolari siano sempre state esempi virtuosi... «Ci mancherebbe, nessuno è perfetto. Ci sono stati colossali errori anche nelle banche del territorio. Pensiamo alla vergognosa gestione della Banca Popolare di Milano, poi per fortuna rimessa a posto. Ma se guardiamo come si comportano le banche società per azioni... Queste semmai andrebbero riformate, non le popolari».
E la sua ricetta quale sarebbe? «Intanto dividere le banche commerciali da quelle d’affari e superare la vergognosa legge Amato. Così finalmente le banche smetterebbero di essere dei supermercati che vendono derivati e tornerebbero a sostenere le famiglie, gli imprenditori e l’economia di questo Paese».