venerdì 22 agosto 2014
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Un giorno gli italiani hanno acceso il televisore e con l’alluvione di Olbia hanno scoperto i rischi dell’insostenibilità ambientale. Un altro con il rogo di Prato quelli dell’insostenibilità sociale. L’urgenza dei tempi che stiamo vivendo è tale che ci inchioda a scrivere sempre lo stesso libro. Che ruota attorno a quella leva che Archimede cercava per sollevare il mondo, al tema per il quale voglio essere ricordato con un epitaffio sulla mia lapide dove si dica che ho lavorato e lottato per il «voto col portafoglio». Ovvero il potere enorme che abbiamo (ma che utilizziamo ancora solo in piccolissima parte) di influenzare il mercato premiando le imprese che sono all’avanguardia nella sostenibilità sociale e ambientale. Potere che dovremmo usare per il nostro bene (con autointeresse lungimirante) per evitare che sul mercato prevalgano scelte ambientali e sociali dissennate che ricadono sui nostri simili e alla fine, come un boomerang, anche su noi stessi.Viviamo una fase del tutto particolare della vita economica del nostro pianeta. La globalizzazione è un po’ come l’epopea della frontiera nel Far West. Dove prima sono arrivati gli «spiriti animali» che  colonizzarono il nuovo mondo lungo la via del telegrafo. Solo successivamente nella storia della frontiera americana sono arrivate le regole e le leggi. Così oggi le grandi imprese multinazionali sfruttano al meglio la possibilità di muoversi su scala globale lungo la via della rete delocalizzando la produzione dove conviene di più (e costa meno in termini di lavoro, ambiente e tasse). E colossi finanziari troppo grandi per fallire, troppo complessi per essere regolati, la fanno da padrone in una finanza ipertrofica come «battelli ebbri» di baudelairiana memoria che hanno rotto gli argini e i freni di regolatori deboli o collusi. Dandosi il nome di banca, ma operando in realtà da gigantesche bische dove prevale il trading ad alta frequenza e l’uso di derivati per finalità puramente speculativa. Nella globalizzazione stiamo dunque vivendo una delicata transizione nella quale le regole e le istituzioni globali non sono arrivate; il sonno dei regolatori produce dei mostri e il conflitto tra imprese globali e regole nazionali genera sviluppo economico ma anche insostenibilità ambientale, livelli di povertà inaccettabili, crisi finanziarie, diseguaglianze imponenti e il gigantesco dilemma di una ricchezza senza nazioni e di nazioni senza ricchezza.Ma nulla si decide solo sulle nostre teste senza che noi possiamo intervenire per cambiarlo. Abbiamo in tasca le chiavi delle nostre catene e non ce ne siamo ancora accorti. Esiste un paradigma alternativo (copernicano) da sostituire a quello ormai obsoleto che ha fatto il suo tempo (tolemaico) e che non è più in grado di farci progredire dal punto in cui siamo arrivati. E che è decisamente meno efficiente sia in termini di fertilità economica che di capacità di creare le condizioni per la pienezza e la felicità della nostra vita.Ognuno nasce con un talento specifico nella vita e la sua fioritura dipende dalla capacità di trovarlo, coltivarlo e valorizzarlo. L’economista è un entomologo o un dottore? Più la seconda dal mio punto di vista, anche se per curare i pazienti la conoscenza scrupolosa e accurata dell’anatomia è fondamentale e quindi il momento dell’osservazione e dello studio del funzionamento dei meccanismi socioeconomici è fondamentale. E il dottore sociale sa che la sfida più stimolante e appassionante è quella di risolvere i problemi degli ultimi e contribuire al bene comune e alla fioritura e soddisfazione di vita collettiva. In fondo chiedere a un economista perché mai dovrebbe occuparsi di povertà è come domandare a un medico perché si appassiona alla cura di malattie gravi invece di occuparsi solo di eliminare le rughe dal volto di qualche capricciosa star del cinema che non vuole invecchiare. Per un economista/dottore sociale non c’è nulla di meglio che cercare di fare da ponte tra le due sponde spesso troppo lontane degli operatori competenti ma poco sensibili e dei testimoni sensibili ma dotati di scarse competenze. Dare competenze ai sensibili e sensibilità ai competenti è il lavoro prezioso da fare in questa terra di mezzo nella quale lo sforzo della divulgazione assume importanza fondamentale.La fiducia nel futuro (e non i vari capitali fisici, umani e sociali) è la molla più profonda che ci spinge a intraprendere la faticosa strada di un investimento per creare un’azienda, che ci induce a impegnare il nostro capitale in un’attività produttiva e a creare una famiglia. In questo ambito il compito di un economista civile che vuole alimentare speranza è triplice: indicare l’orizzonte verso cui tendere (additando il «non ancora»), tracciare nuovi sentieri dal punto in cui ci troviamo per evitare il rischio paralizzante che nessuna strada porti ad esso (costruendo il «già»), abitare i luoghi dove il «già» sta prendendo forma vivendo a fianco e interagendo con chi è operativo in una crescita mutualmente stimolante.Rispetto ai libri scritti in precedenza, quest’ultimo si arricchisce anche di un fattore chiave: il lavoro iniziato qualche anno fa sui social network. È per questo che ho deciso di chiamarlo Wikieconomia. Scrivere un libro è come partecipare a una maratona fatta di tanti scatti separati, uniti poi assieme. E i social network stimolano a esprimerci su durate corte o cortissime (i 140 caratteri di Twitter) che aumentano la nostra capacità di sintesi e rinforzano la nostra abilità a esporre pensieri brucianti in poco spazio. Allo stesso tempo essi (quando vengono usati bene e non diventano solo sfogatoi moltiplicatori di rabbia ed emozioni di breve periodo) sono luoghi nei quali si costruisce dal basso, assieme, sapere collettivo, in scambi che annullano i limiti spazio-temporali tra persone lontanissime che partecipano allo stesso dibattito virtuale. Un po’ come un gigantesco speaker’s corner globale dove la rete sostituisce Hide Park e tutti possono simultaneamente parlare e ascoltare senza vincoli spazio-temporali.Il primo problema di cui oggi un economista anche solo liberale dovrebbe occuparsi è come può la maggioranza debole e dispersa contrastare e arginare il potere di lobby concentrate e aggressive. Una novità importante da questo punto di vista è proprio la rete, che offre tecnologie e modalità di aggregazione un tempo impensate, aiutando l’interesse della maggioranza a prendere forma e consapevolezza, a condensarsi e rinforzarsi. Così come Wikipedia è l’esempio lampante di come la rete ha stimolato l’estrazione di operosità dagli immensi giacimenti di gratuità umana, con una comunità di volontari che ha edificato la piramide di un’enciclopedia online, così la wikieconomia potrebbe essere la grande opera del futuro, la costruzione di un’economia al servizio del bene comune e dell’interesse di tutti.
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