martedì 23 dicembre 2014
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​Le finestre a pianterreno della canonica brillano come due occhi nel crepuscolo di dicembre. Percorrendo il viottolo selciato fiancheggiato dagli alberi arriveremmo alla chiesa dell’Assunta. Ma non ci andremo e torneremo alla canonica. Se attraverso la finestra appannata sbirciassimo nell’ufficio del parroco, scorgeremmo la figura di un uomo seduto al tavolo intento a scrivere il sermone, poi lo vedremmo camminare su e giù per la stanza mentre cerca di impararlo a memoria. Mancano due giorni a Natale, che quest’anno cade di sabato.Dicembre 1948. Sulla collina di Cihost, un piccolo villaggio della Vysocina (Repubblica Ceca), il parroco don Josef Toufar è immerso nella preparazione dell’omelia. Dopo 8 mesi Josef Toufar si è perfettamente ambientato nella nuova parrocchia. Dice che Cihost è in montagna e lui non si troverebbe bene altrove e che è profondamente grato per la sua vocazione. Nonostante i tentacoli del potere comunista inizino lentamente a insinuarsi nella società, il quarantaseienne sacerdote non se ne cura e comincia a rinnovare la parrocchia. Sistema i dintorni della chiesa e della canonica, pianta alberi da frutto, inserisce nell’attività credenti e non, comunisti e popolari, giovani e anziani, organizza conferenze e corsi di ballo, insegna a scuola e va a Praga a chiedere la pensione per i vecchi.È prudente: dopo l’esperienza vissuta nella parrocchia precedente non vuole rischiare inutilmente di scontrarsi con l’apparato di partito e al contempo diventa un’importante autorità del villaggio. Gli piace ridere, è quasi sempre di buon umore e canta, quando nevica abbondantemente si prende un pomeriggio e con la nipote Marie e i bambini della parrocchia va in slittino sulla ripida piazza del villaggio. Come il suo collega don Michalek affermerà: «Con la sua franchezza e semplicità era riuscito a conquistare tutti».Don Josef Toufar è una persona diligente, prepara il sermone domenicale scrivendolo con la stilografica (alcuni li batte anche a macchina). Sono riuscito a ritrovarne molti, e così possiamo osservare non solo la sua scrittura curiosamente tondeggiante, molto difficile da leggere, ma soprattutto il modo in cui formulava alcune tematiche. Scriveva l’omelia su un foglio formato A5, il sabato la imparava a memoria ripetendola a voce alta e ne portava una bozza sul pulpito nel caso ne dimenticasse una parte. Mentre predicava era soprattutto il suo volto convincente ad attirare l’attenzione. Jan Zmrhal, all’epoca studente di teologia, anni dopo mi ha confermato che don Toufar «non era un predicatore suggestivo e affascinante. A volte gli capitava anche di prendere qualche piccola papera se non si era preparato il discorso». Ma si ricordava che diceva messa in raccoglimento e profondamente immerso nel mistero che stava celebrando.Nel dicembre 1948 la Conferenza episcopale cecoslovacca aveva inviato al governo un memorandum, dove constatava come «l’attuale situazione non solo non giova alla Chiesa, ma danneggia anche lo Stato». I vescovi protestavano contro gli attacchi della stampa nei confronti della Chiesa, contro la limitazione della sua libertà e la chiusura delle scuole religiose. Il giorno di Natale, alla messa del mattino, don Toufar sale sul pulpito, appoggia sul bordo il foglio con l’omelia, percorre con lo sguardo la chiesetta gelida che però è piena di gente, guarda i volti degli adulti e dei bambini e predica con voce gagliarda e ferma, gesticolando appena un poco: «Cari in Cristo! Riuscite a immaginarvi che cosa sarebbe stato di noi se non fosse nato il Salvatore, se non avesse portato nel mondo l’amore e la pace? Che cosa sarebbe successo a noi, ai nostri peccati, lotte, tentazioni, alle nostre sofferenze e alle nostre lacrime? Il Signore non è stato indifferente e non lo è neppure oggi al nostro destino, alla nostra sorte piena di spine, alla nostra vita, felicità e al nostro bene. Cari in Cristo! Vi parlo come vostro sacerdote. Pregate di cuore oggi e sempre, affinché la pace annunciata dagli angeli echeggi sulla nostra cara patria. Amen».
È l’ultimo Natale sereno di don Toufar. Già l’anno seguente a Cihost le feste trascorreranno in un’atmosfera completamente diversa. L’11 dicembre 1949, terza domenica di Avvento, è infatti avvenuto il cosiddetto «miracolo»: proprio durante l’omelia, la croce dell’altare ha cominciato a muoversi da destra a sinistra, quindi si è fermata leggermente inclinata in avanti; il parroco, essendo rivolto verso i fedeli, non si accorge di nulla. Nel villaggio inizia un enorme afflusso di fedeli per vedere la croce «miracolosa» e quel Natale ha un palpito e una tensione particolari. Sarà l’ultimo di don Toufar, e lui lo sa: il regime comunista non può certo sopportare un fatto del genere. In ginocchio davanti al tabernacolo in quell’ultima notte santa il parroco mormora: «Succeda quel che succeda, accadano cose belle o cose brutte (Dio sa tutto), se lui non vuole neppure un capello del nostro capo andrà perduto. E a noi non resta che confessare e dire: Padre, sia fatta la tua santa volontà, non la mia. Dacci forza e non dimenticarti di noi».Dopo qualche settimana la polizia segreta arresta don Toufar e con la tortura cerca di farlo confessare di essere stato lui a organizzare il «miracolo»; arrivano persino a registrare nella chiesa di Cihost un filmato propagandistico, poi distribuito in tutta la nazione, dove lo si vede protagonista di una sorta di replica dell’evento dell’11 dicembre, in cui la croce però viene mossa da un congegno montato dalla polizia stessa. Il sacerdote muore il giorno seguente, 25 febbraio 1950, a causa delle percosse subite durante la reclusione.(traduzione di Tiziana Menotti)
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