venerdì 19 luglio 2013
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Uno dei padri nobili del Compromesso storico tra Dc e Pci nel lontano 1978, l’abile consigliere ( definito per questo «l’eminenza grigia», «il consigliere del principe») di Palmiro Togliatti ed Enrico Berlinguer, l’antifascista, ma soprattutto Franco Rodano è stato associato da un appellativo che ha quasi cadenzato la sua breve e intensa vita (1920-1983): il cattocomunista. Sono trascorsi 30 anni dalla scomparsa di questo complessa figura di cattolico sui generis, avvenuta il 21 luglio del 1983 a causa di una crisi cardiaca a Monterado nelle Marche, che con la sua azione di intellettuale atipico e «cristiano nella sinistra» tentò, come disse l’allora presidente della Repubblica Sandro Pertini, di «conciliare nel movimento dei cattolici comunisti i valori della tradizione cristiana e cattolica con quelli della rivoluzione d’ottobre». E non è forse un caso che stelle polari della speculazione filosofica e politica di Rodano nell’arco della sua vita siano stati soprattutto Karl Marx e Tommaso d’Aquino. A colpire ancora oggi di questo cattolico irregolare perché militante del Pci è il suo retroterra spirituale di riferimento: pur essendo nato a Roma frequenta le elementari a Bologna (avendo tra i suoi compagni di classe il coetaneo Enzo Biagi); fondamentale sarà soprattutto negli anni dell’adolescenza il passaggio a Roma con l’iscrizione dal 1935 al 1940 al prestigioso liceo classico Ennio Quirino Visconti, (uno degli ultimi focolai antifascisti nella Capitale come il D’Azeglio di Torino). Saranno questi gli anni decisivi per l’impronta cattolica di Rodano: frequenta la congregazione mariana La Scaletta diretta dai padri gesuiti; milita nell’Azione Cattolica e nella Fuci. Una traccia indelebile nella vita del giovane Rodano sarà l’incontro con gli Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio e con il padre gesuita Giuliano Prosperini. È questo il periodo delle grandi turbolenze giovanili di Rodano, delle intense letture (da San Tommaso, alla Bibbia a Giovanni della Croce), dell’apostolato giovanile, delle penitenze pietistiche in perfetto stile gesuitico ma anche delle grandi decisioni: tra il 1938 e il 1940 partecipa al Movimento dei cattolici antifascisti. Sono gli anni degli incontri con grandi personalità del suo tempo, ideologicamente e culturalmente diverse tra loro: da Luigi Gedda a Giuseppe Lazzati, da Giaime Pintor a Giulio Andreotti (con cui esprimerà il suo personale disaccordo per la posizione ufficiale della Fuci sulla guerra civile spagnola, sposando invece la tesi di Bernanos), da Adriano Ossicini a don Giuseppe De Luca. Toccherà, strano a pensarsi, proprio a Rodano sotto pseudonimo firmare per le pagine dell’“Osservatore Romano” il 14 marzo del 1942 un articolo dal titolo asettico «Alessandro Manzoni antiMachiavelli». Il 18 maggio dell’anno successivo verrà arrestato dalla polizia fascista e poi, dopo la caduta del fascismo (25 luglio 1943), liberato. Tappa fondamentale della biografia di Rodano sarà la notte di Natale del 1944 nella sua abitazione di via dei Fienili, a due passi dal Campidoglio. Commensali di quel banchetto natalizio, oltre a Rodano e la moglie Marisa Cinciari (conosciuta giovanissima al Circolo San Pietro), don Giuseppe De Luca, l’uomo di fiducia degli allora monsignori della Curia pacelliana Alfredo Ottaviani e Domenico Tardini, e il più prestigioso leader comunista occidentale Palmiro Togliatti. «Si avvertì dietro ai richiami al Risorgimento a Cavour a San Paolo in quella notte – ha raccontato uno dei testimoni di quella storica cena, Filippo Sacconi – che in realtà Togliatti e De Luca esplorassero due mondi così diversi e lontani: il mondo cattolico e quello comunista, Mosca e il Vaticano. E non fu certo una coincidenza, auspice Franco, che avvenisse nella sua casa…». E sarà proprio l’attenzione al mondo cattolico e alla sue istanze che convincerà Togliatti a non dimenticare mai i suggerimenti e le indicazioni del suo fidato consigliere: spetterà al 27enne Rodano spiegare sulle colonne di “Rinascita” nell’aprile del 1947 la posizione del Pci sull’articolo 7 della Costituzione sull’inserimento delle norme concordatarie al fine di salvaguardare la pace religiosa nel Paese. Resterà un cattolico fedele alle sue convinzioni, anche quando l’anno successivo (il 1948) sarà colpito da un interdetto personale del Sant’Uffizio di Pio XII di ricevere i sacramenti, in particolare l’Eucarestia. Una dolorosa condizione (vissuta in silenzio e secondo lo storico Pietro Scoppola come il segno di «una fedeltà spirituale alla Chiesa») da cui sarebbe uscito molti anni dopo. Il Concilio Vaticano II come l’apertura e l’azione di disgelo verso l’Unione Sovietica attuata da Giovanni XXIII rappresenterà per Rodano in un certo senso una nuova rinascita della «sua anima credente»; non è certo un caso che sia stato tra i principali sponsor dell’Ostpolitik vaticana. Oltre alla storica collaborazione con il periodico “Quaderni della rivista trimestrale” o “Paese Sera” Rodano negli anni del post-Concilio deciderà di firmare alcuni articoli per il mensile dei dehoniani di Bologna “Il Regno”; (si prodigherà, tra l’altro, a garantire ogni anno l’abbonamento di questo mensile a una monaca di clausura indigente perché sarà la sua convinzione: «è importante, oggi, pregare in silenzio»). Sono questi gli anni della conoscenza personale di un teologo di razza come Marie Dominique Chenu o dello studio di pensatori cattolici molto in voga come Edward Schillebeeckx o Hans Kung (di cui è critico per la sua visione ecclesiologica). Anni che lo vedranno confrontarsi sull’arena pubblica dei giornali proprio sul tema del cattolicesimo e comunismo, sempre con grande garbo e rispetto, con il filosofo Augusto Del Noce o criticare, per esempio, apertamente il preposito generale dei gesuiti Pedro Arrupe per non aver accettato dentro le province latino-americane della Compagnia di Gesù l’insegnamento dell’analisi marxista. A 30 anni dalla sua scomparsa rimangono vive la storia e la cifra intellettuale di questo personaggio politico atipico dentro il Pci, di «cattolico "romano" posto "extra-ecclesiam» come lo definì Giovanni Tassani. Un «combattente appassionato» secondo Enrico Berlinguer che in fondo è giusto forse ancora oggi ricordare e inquadrare storicamente con le stesse parole scritte il giorno della sua morte su “Le Monde” da Philippe Pons: «Fino al termine della sua vita, volle rimanere rigorosamente coerente con i principi che aveva elaborato».
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