È noto, però, che il Salterio è anche un testo poetico che dev’essere sottoposto all’analisi storico-critica, come già aveva intuito san Girolamo che nella sua Lettera 53 a Paolino non esitava a scrivere che «Davide è il nostro Simonide, il nostro Pindaro, il nostro Alceo, il nostro Flacco, il nostro Catullo. È la lira che canta Cristo!». Il libro si rivela, infatti, come un cantiere per la critica testuale, a causa della sua secolare trasmissione e delle relative modifiche e persino degenerazioni. Si presenta anche come un laboratorio filologico sia in ragione della disparità cronologica nella composizione dei vari carmi, sia per le caratteristiche lessicali molto variegate, sia per i passaggi dall’originale ebraico alla versione greca dei Settanta e al finale testo masoretico vocalizzato.Il Salterio è anche un campo fecondo di analisi letterarie: si pensi alla questione dei vari generi letterari, alle strutture poetiche spesso raffinate e complesse, all’affascinante dispiegarsi delle immagini che rendono i salmi «un giardino di simboli», per usare un’espressione del grande Thomas S. Eliot. Né si possono ignorare le reinterpretazioni che, come accade per i canti regali, possono trasferire certe composizioni salmiche nell’orizzonte messianico, come faranno i Settanta per l’intero Salterio e come è accaduto nella liturgia e nella teologia cristiana attraverso la prospettiva cristologica. Anche Bonhoeffer, sia pure in modo semplificato, è consapevole di questi problemi esegetici, a partire dalla simbolica e fittizia attribuzione a Davide, «il cantor de lo Spirito Santo... il sommo cantor del sommo duce», come lo aveva definito Dante nel Paradiso.Ecco, allora, la scelta di organizzare la sua sintesi introduttoria al Salterio attraverso un decalogo tematico che è anche una catalogazione dei vari registri e generi letterari che reggono le 150 composizioni salmiche. Si passa, così, dagli inni che cantano la creazione, contemplata non tanto liricamente ma in un atto adorante, alla legge divina celebrata come meditazione dell’«azione redentiva di Dio e prescrizione di una nuova vita nell’ubbidienza». Si va dalla storia della salvezza, esaltata come sequenza di atti divini che dall’Egitto giungono al Golgota, perché è in Cristo che si ha il compimento dell’itinerario salvifico. La storia salvifica ha, poi, un approdo con l’irrompere della figura del Messia, il cui volto è naturalmente riletto alla luce di quello di Cristo. Nei salmi dedicati a Sion e al tempio si intuisce il profilo della «Chiesa di Dio in tutto il mondo e di ogni luogo in cui Dio abita presso la sua comunità nella Parola e nel sacramento».
In questa linea si colloca anche l’ampio spettro oscuro delle suppliche nelle quali si stende il pianeta tenebroso della sofferenza, della lotta, della paura, del dubbio. «Chi soffre, combatte contro Dio in difesa di Dio», osserva Bonhoeffer che, però, in questo orizzonte vede ancora una volta ergersi la figura di Gesù paziente, «il solo ad aver provato integralmente» la sofferenza, irradiandola però con la sua fiducia e con la sua stessa divinità che vince e trascende il male.Così accade, come si è detto, per i salmi "penitenziali" e anche per gli imbarazzanti "salmi imprecatori", segnati da un anelito bruciante alla vendetta. La domanda, in questo caso, è scontata: essi incarnano forse «un grado inferiore di religiosità?». «Possiamo, dunque, da cristiani pregare questi Salmi?». E la risposta è ancora una volta cristologica. «La preghiera per la vendetta di Dio è la preghiera per la piena applicazione della sua giustizia nel giudicare i peccati»; ma questo compimento lo si ha «non per la via più consueta». «La vendetta di Dio non ha infatti colpito i peccatori, ma l’unico innocente, che ha preso il posto dei peccatori, il Figlio di Dio. Gesù Cristo ha portato il peso della vendetta di Dio», dell’adempimento della necessaria giustizia nei confronti del male.Creazione, legge, storia della salvezza, Messia, Sion-Chiesa, vita, sofferenza, colpa, vendetta: il decalogo dei generi salmici delineato da Bonhoeffer si conclude con uno sguardo proiettato verso l’ultima meta, che è anche l’ultimo tema, «la fine» o, forse meglio, «il fine» dell’intero essere ed esistere, l’escatologia. «Oggetto della preghiera nei salmi è la vita in comunione con il Dio della rivelazione, la vittoria finale di Dio nel mondo e l’instaurarsi del regno messianico». È la stessa meta a cui ci conduce il Nuovo Testamento, è lo stesso respiro che regge il Padre nostro, considerato da Bonhoeffer come l’ideale summa del Salterio. Perciò, «l’unica cosa importante è il ricominciare di nuovo con fedeltà e amore a pregare i salmi, in nome del nostro Signore Gesù Cristo».