martedì 25 novembre 2014
COMMENTA E CONDIVIDI
Se anche quest’anno i parigini possono ammirare il maestoso albero di Natale di fronte alla Cattedrale di Notre Dame, devono ringraziare la Russia. L’albero viene tradizionalmente allestito grazie a una raccolta di offerte nelle parrocchie, che stavolta si è rivelata insufficiente. A venire in aiuto dell’arcidiocesi è stata appunto l’ambasciata russa in Francia, che ha coperto a titolo gratuito la somma mancante. Un piccolo gesto natalizio, ma eloquente. Fa il paio con le dichiarazioni rilasciate sabato scorso dal ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, che parlando di questioni ben più drammatiche ha criticato i leader dell’Unione Europea per il loro silenzio di fronte alla persecuzione dei cristiani nelle aree incandescenti del mondo musulmano. «Hanno vergogna di parlarne come si vergognano di inserire una frase nella Costituzione europea per riconoscere le radici cristiane del continente», ha detto Lavrov, «ma se uno non ricorda e rispetta le proprie origini e tradizioni come può pensare di rispettare quelle degli altri?». Saranno gesti e parole tattiche, come osservano in molti, parte di una strategia della “nuova Russia” per occupare il vuoto lasciato dalle élite europee per quanto riguarda la difesa di identità e valori cristiani in Europa. Sicuramente il calcolo politico c’è, ma non nasce dal nulla. Secondo un sondaggio condotto l’anno scorso dal Centro Levada, tra i maggiori istituti di statistica di Mosca, i russi che si dicono cristiani sono quadruplicati dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica a oggi: erano il 17% allora, sono il 68% oggi. Ovvero, sono due su tre i russi che si dichiarano ortodossi, mentre erano uno su sei alla fine del 1989. Questo vale per la Russia, ma qual è lo stato della religiosità nei Paesi dell’Europa dell’Est usciti dall’esperienza comunista? La domanda non è peregrina a un quarto di secolo dalla caduta del Muro di Berlino.Una risposta ha cercato di darla negli ultimi anni Olaf Müller, sociologo della Wilhelms-Universität di Münster, che ha sintetizzato le sue ricerche in un articolo pubblicato sull’ultimo numero della Theologisch-praktische Quartalschrift, trimestrale di scienze religiose edito a Linz in Austria. Usando dati aggiornati al 2008, a cui risalgono i sondaggi più estesi fatti sul tema che tengono conto di 17 Paesi, e monitorando l’evoluzione degli stessi negli ultimi anni, Müller parla di un fenomeno religioso che è «tornato in voga» nella maggioranza delle nazioni una volta a est di quella che era la Cortina di ferro, anche se il quadro è complesso ed è presto per distinguere un ritorno reale della religione da un revival più legato a a nuovi identitarismi culturali e politici. Alcune sono comunque le tendenze degne di nota.I Paesi tradizionalmente segnati da una radicata e diffusa religiosità, hanno tenuto o anche accentuato questa caratteristica rispetto al 1990. Paesi come Polonia, Romania, Croazia, Serbia, Ucraina e Moldavia. Usando tre categorie – dichiarazione di appartenenze religiosa, frequenza alla Messa e ai riti liturgici, stima e fiducia nei confronti della Chiesa – si rileva come nei Paesi a maggioranza ortodossa sia aumentata sensibilmente, con percentuali a doppia cifra, l’appartenenza religiosa e la fiducia nella Chiesa, meno la frequenza ai sacramenti; nel caso dei Paesi a maggioranza cattolica, resta invariata o aumenta la dichiarazione di appartenenza confessionale, tiene o cala di poco la frequenza in Chiesa (con la flessione più marcata che riguarda la Polonia). Calano drasticamente su tutti e tre i fronti due zone, l’ex Germania dell’est e la Repubblica Ceca. In queste due lande europee, più l’Estonia, il panorama «è ampiamente secolarizzato, e soprattutto nella Germania orientale sembrano scomparire gli ultimi residui di tradizione religiosa» nota Müller. Pesa su questo arretramento la dissoluzione del sostrato protestante, la confessione cristiana ovunque più in difficoltà. Ma la fascia che da Dresda arriva a Praga è anche quella in cui si sono sommati due processi durante il regime comunista: una repressione particolarmente dura delle Chiese e della pratica religiosa unita a una spinta per una modernizzazione industriale. Il risultato è quello di regioni che sono oggi tra le più secolarizzate del mondo.Un altro dato verso cui Müller richiama l’attenzione è quello di una maggiore "solidità" dell’idea di Dio nei Paesi a maggioranza cattolica. Solidità della concezione di un Dio personale, di matrice biblica, più refrattaria a scivolare in un’idea di Dio meno definita, come semplice “Essere superiore”, magari impersonale. In 7 Paesi su 17 coloro che credono a un Dio personale superano quelli che credono appunto nella presenza di una mera “potenza spirituale”. Cinque di questi, Polonia, Slovacchia, Croazia, Lituania e Ungheria, sono di matrice cattolica.Degno di considerazione è anche il fatto che la religiosità segna un aumento marcato nei Paesi che hanno vissuto esperienze sociali e politiche traumatiche, come quelli della ex Jugoslavia, o pesanti difficoltà sociali ed economiche, per esempio Romania e Bulgaria. Laddove il periodo post-comunista è stato segnato da un sensibile progresso economico – casi evidenti sono quelli dell’Estonia e della Cechia – anche la secolarizzazione è stata marcata. Un fenomeno che in misura diversa sta mostrando le sue ricadute anche in una realtà come quella polacca.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: