Uno sguardo inedito, severo e ironico al tempo stesso. Una storia che solo in apparenza sembra da soap opera. Perché al fondo c’è la denuncia forte di un’istituzione ancora molto presente nel suo Paese, la Nigeria, e in molte altre parti dell’Africa. Lola Shoneyin, poetessa e scrittrice, si scaglia nel suo primo romanzo
Prudenti come serpenti (Edizioni 66th2nd) contro la poligamia, che definisce senza mezzi termini una “tragedia” per le donne. Sposata al figlio del premio Nobel per la letteratura Wole Soyinka, madre di quattro figli, laureata in Inghilterra e poi rientrata nel Paese d’origine, Lola Shoneyin è una poetessa molto conosciuta e apprezzata. Che ha voluto cimentarsi nella prosa, scegliendo un tema non facile e spesso controverso, quello appunto della poligamia, per raccontare il suo Paese attraverso le dinamiche complesse e talvolta feroci di una famiglia dove convivono quattro mogli. E se nel romanzo non ci sono accenni all’ondata di terrorismo che sta scuotendo il suo Paese, nella vita privata Lola Shoneyin sa cosa vuol dire sentire esplodere una bomba a pochi passi da casa. Ce lo ha raccontato in un suo recente passaggio in Italia. Ove tornerà ai primi di settembre per partecipare al Festivaletteratura di Mantova.
Lei è molto conosciuta per le sue raccolte di poesie. Perché ha deciso di scrivere questo suo primo romanzo?«La poesia è qualcosa di molto semplice per me, di naturale. Volevo confrontarmi con qualcosa di diverso, ripensarmi anche come narratrice. Avevo bisogno di un nuovo progetto e ho voluto provare l’esperienza di romanziere. Avevo in testa questa storia da anni. Il mio agente l’ha molto amata. Ed ecco il mio primo romanzo».
Un libro molto realista. Che racconta, seppur in maniera romanzata, la vita vera di molte famiglie nigeriane. E soprattutto quella che lei definisce la “tragedia della poligamia”…«La poligamia è un’esperienza che ho vissuto in famiglia. Entrambi i miei nonni erano poligami. Uno era piuttosto povero, ma aveva due mogli. Quando una è morta, è rimasto monogamo. L’altro era un re yoruba, aveva cinque mogli e molti figli; era un grande onore per le donne avere dei figli da un re, perché poi erano considerati principi e principesse. Ma ritengo che per le donne sia quasi sempre una tragedia. Accettano la poligamia per mancanza di scelta, per difficoltà di relazioni, perché non sono in grado di mantenersi da sole, per condizionamenti familiari e sociali… Molte mogli vengono ingannate anche nel contesto musulmano: pensano che saranno monogame e dopo pochi anni si ritrovano con un’altra moglie. Spesso è molto difficile da sopportare moralmente e psicologicamente».
Qual è, più in generale, la situazione della famiglia in un contesto così complesso e dinamico come quella della Nigeria? Nel suo Paese, accanto a realtà rurali molto tradizionali, si stanno sviluppando megalopoli come Lagos, con 18 milioni di abitanti, dove anche la famiglia si trova confrontata a nuove problematiche e sfide…«Oggi, in Nigeria, la gente è generalmente più istruita e cerca di migliorare la propria situazione personale e sociale. Sfortunatamente c’è ancora molta povertà. Le donne diventano mogli nel contesto della poligamia per due motivi fondamentalmente: per questioni economiche e per ragioni di status sociale. Ci sono ancora forti pressioni sulle donne perché si sposino e abbiano dei figli. Se non sei sposate e non sei madre non vieni rispettata».
Lei ha studiato all’estero, ma poi ha scelto di far ritorno in Nigeria. Immagino abbia un doppio sguardo, uno più dall’interno e uno più dall’esterno. Come vede oggi il suo Paese?«Quando ho studiato ho sempre avuto l’idea di tornare un giorno in Nigeria. Mio padre era un politico e la situazione allora si era fatta molto difficile per la mia famiglia. Ma anche oggi non è facile esprimere un giudizio su un Paese così complesso e contradditorio come la Nigeria, con differenti culture, religioni, modi di vedere… Purtroppo devo dire che la cosa che mi rabbuia di più è l’enorme corruzione. La Nigeria è un Paese ricco di potenzialità, ma povero di leadership. È molto triste vedere che oggi i bambini vogliono diventare politici solo per fare soldi e non per servire il bene comune».
Come giudica il ripetersi degli attentati di Boko Haram nel nord del Paese?«La prima volta che ho sentito uno scoppio ero in bagno, nella mia casa di Abuja. Ho saputo subito dopo che era bomba. Ero così impaurita. Non riuscivo a realizzare che fosse una bomba. Poi ho pensato che la casa potesse collassare e sono corsa fuori. Ho avuto molta paura. Ne ho parlato con alcuni amici musulmani che non capiscono né condividono quello che sta facendo Boko Haram. Io penso che stiano cercando di destabilizzare il Paese e l’amministrazione, ma fanno grandi danni a tutti. È davvero una catastrofe. Ho amici che non vanno più in chiesa o al cinema o in certe parti della città perché hanno paura. È una tragedia per la nazione e per le singole persone. La tua vita, le tue abitudini, le tue certezze vengono messe in discussione. Stanno usando religione perché è una cosa importante per la gente, che la rende molto emotiva. Creano confusione, incertezza. Molte voci si alzano per denunciare, ma quante persone posso sentirle all’interno e all’esterno del Paese? Penso sia importante una comprensione anche a livello internazionale».
Quali progetti ha per futuro?«Innanzitutto, penso che questo libro potrebbe diventare un film. Me l’hanno proposto, sono interessata e vorrei che fosse un progetto nigeriano. È una storia di fantasia, ma è anche una storia vera, che toccherebbe senz’altro la gente. E poi vorrei scrivere un altro romanzo. Nel frattempo, mi dedico alle mie poesie…».