mercoledì 10 febbraio 2016
Orioli, il libraio dei geni inglesi
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Storia di una passione, quella per i libri, da vendere al miglior cliente e da pubblicare allo scrittore che gli carezzava l’anima sensibile. Questa è la storia, ai più ignota, di Giuseppe Orioli, meglio noto come “Pino” per la gente di Alfonsine (Ravenna) dove nacque nel 1884. Il librario antiquario più amato dai bibliofili nell’Europa degli anni Trenta, e l’editore raffinato diventato di culto presso gli scrittori inglesi. Figlio di un bottegaio, dodicenne dovette abbandonare la scuola per impiegarsi come garzone del barbiere del paese. Autodidatta, «il primo libro che mi capitò fra le mani fu un romanzo di Paolo De Kock - di cui non ricordo il titolo, che parlava di una prostituta... Poi cominciai a studiare i grandi autori italiani, Dante e Ariosto, nonché le traduzioni dei classici greci e latini», racconta Giuseppe Orioli nella sua autobiografia Le avventure di un libraio (Castelvecchi, pagine 238; 17,50 euro). Uno dei libri delle preziose e introvabili edizioni già ai tempi della Lungarno Series, la casa editrice che mise in piedi a Firenze. La città dove si stabilì a quattordici anni chiamato dal fratello Antonio che gli aveva trovato un altro posto da barbiere, «sulla via Romana, vicino a quel Palazzo Annalena in cui Caterina Sforza aveva finito i suoi giorni». Così scrive Orioli che assetato di cultura si abbeverava ad ogni fonte. Attratto specialmente da quel nuovo rinascimento internazionale che lo faceva salire sulla collina di Fiesole alla casa di mister Wise, «il primo inglese con cui parlai, ed io mi feci una pessima opinione della sua razza, opinione che doveva essere cancellata poco dopo, quando conobbi la signora Jessie White Mario, scozzese di nascita». Fu questa la donna che nella sua biblioteca ricolma di libri preziosi insegnò ad Orioli l’idioma british, ma ripartendo dalle basi dell’italiano, scarsamente appreso a scuola, per arrivare poi alle lezioni di francese. A quel punto il Pino di Alfonsine era pronto per il suo viaggio sentimentale a Londra alla ricerca dei libri perduti che trovò nel negozio dell’eccentrico Gilodi. Un libraio milanese che a Londra sbarcava il lunario vendendo volumi antichi di giorno e alla sera facendo la claque nei locali di Oxford Street dove Orioli cominciò ad esibirsi come cantante. Intonava «“O sole mio” e “Funiculì Funiculà”, per rimediare il pranzo o la cena», ricorda Alberto Vigevani - in prefazione a Le avventure di un libraio che pubblicò nel 1998 nelle sue edizioni, il Polifilo - . Ed è proprio il vecchio Gilodi che scatenò nel ragazzo di Romagna la passione per i libri facendogli conoscere l’anarchico Barberi, ex ristoratore di fiducia del maestro Puccini a Milano e poi oste e libraio antiquario a Londra dove riparò dopo la prigione «per aver venduto un giornale - scrive Orioli nelle sue memorie - che conteneva espressioni elogiative per l’uccisione di re Umberto». Dalle ceneri della Polyglott Library, in Charing Cross Road, la mitica via dei librerie, nacque la Barberi&Orioli. Un «bugigattolo» che divenne il luogo d’incontro creativo e rifugio onirico degli intellettuali londinesi. Il suo buffo inglese con le «s» sibilanti del dialetto romagnolo - che tanto facevano sorridere gli amici della sua allegra brigata - andò a perfezionarlo alla facoltà di lettere di Cambridge. Qui conobbe il suo futuro socio J. Irving Davis, con il quale tornato a Firenze aprì una libreria, in via Vecchietti, e poi di nuovo insieme a Londra per inaugurare una piccola casa editrice e rivendita di libri antichi in Museum Street. Ma la vera attività editoriale Orioli la intraprese a Firenze, alla fine della Grande Guerra. La leggendaria The Lungarno Series ebbe inizio nel 1929 con la pubblicazione di The Story of Doctor Manente, traduzione di Lawrence della X novela della “Terza Cena” del Lasca e si concluse nel 1937 proprio con il suo Adventures of a bookseller. Una produzione assolutamente limitata, stampò appena 12 titoli, tirati al massimo in poco più di mille esemplari, tutti inediti e in inglese di scrittori amici e soci che rispondevano al nome appunto di D. H. Lawrence, W.S. Maugham e R.Aldington. Con Lawrence, conosciuto anni prima in Cornovaglia, Orioli sfidò la censura dando alle stampe Lady Chatterley’s lover che lo scrittore inglese scrisse tra le colline fiorentine nella quiete di Villa Miranda. Quella pubblicazione lanciò il nome di Orioli nel firmamento editoriale europeo, senza però trarne alcun vantaggio economico: «I proventi di Lawrence sulla vendita ammontano fino a luglio 1929 a 1615 sterline, 18 scellini e 3 pence, mentre i miei come editore ammontavano al dieci per cento di quella cifra». Stessa magra sorte sul mercato con Stepping Heavenward di Aldington, The book bag di Maugham e Capri materials for description Island dell’amato Norman Douglas, con cui condivise quel viaggio sentimentale che dal calabro Vento del Sud lo condusse fino a Lisbona. Ultimo approdo di “friend” Pino, l’amico e l’ispiratore di una irripetibile stagione letteraria ed esistenziale. Un tempo sospeso tra l’edonismo quasi dannunziano (conobbe il Vate a Fiume) e un’estetica ricercata che si potrebbe sintetizzare in uno dei titoli più riusciti della Lungarno Series, La cucina dell’amore di Omero Rompini (Venus in the kitchen or love’s cookery book). Una vita ricca di ingredienti gustosi, consumata fino in fondo, morendo in povertà. Ad accudirlo negli ultimi giorni portoghesi (fu sepolto a Lisbona nel 1942) c’era soltanto il fido Carletto Zanotti che poi avrebbe ereditato e dilapidato l’intera fortuna giunta postmortem dal patrimonio del munifico Reggie Turner. Un altro inglese stregato dall’eclettico Pino. «Orioli è quel tipo d’italiano da commedia dell’arte che gli inglesi credono il solo autentico», tratteggiava ironico Eugenio Montale che incontrava il libraio di Alfonsine ai tavoli del caffè fiorentino delle Giubbe Rosse. Riscoprire Orioli vuol dire rileggere la vita di un intellettuale e di un self made man illuminato, dalle intuizioni wildiane che affascinarono Rubinstein e il dadaista Tzara. Il suo sguardo proiettato costantemente verso nuovi orizzonti è rimasto impresso nel ritratto che gli fece la pittrice Laura Knight.È lo sguardo assorto e disincantato del nume tutelare dei piccoli editori e la sua storia di una passione va letta come il manifesto dei librai indipendenti. «Il mestiere del libraio - ha lasciato scritto Orioli - sarebbe facile se si trattasse soltanto di smerciare i buoni libri; per i buoni libri c’è sempre un mercato. Il vero problema per un libraio è costituito da una parte della sua clientela...».
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