«Avevamo un cuore solo e un’anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune». Sono le parole, riprese dagli Atti degli Apostoli, usate da Julius Nyerere per un biglietto di auguri inviato ai capi di Stato nel 1977. Parole che rivelano il suo sogno di una società solidale ispirato dalla fede cristiana. Julius Nyerere è l’unico capo di Stato africano di cui sia in corso una causa di beatificazione. Primo tanzaniano laureato in economia e storia; primo presidente del Tanganica indipendente nel 1962 (e quindi della Tanzania in seguito all’unificazione con Zanzibar); primo rettore dell’università dell’Africa orientale. Ma anche e soprattutto primo fautore di un modello economico e sociale che rappresenta ancora oggi un esperimento unico nella storia dell’Africa: ovvero un modello di socialismo cristiano-africano, fondato sui principi della dottrina sociale della Chiesa e, appunto, su quelli del socialismo rivisitati all’africana. «Nyerere incardina la sua riflessione e azione politica dentro l’esperienza profonda, antropologica, sociale e religiosa del mosaico di popoli che compongono la Tanzania». È quanto sostiene Jean Léonard Touadi nella prefazione al libro
Nyerere, il Maestro. Vita e utopie di un padre dell’Africa, cristiano e socialista, appena uscito per i tipi dell’editrice missionaria Emi. L’autrice, Silvia Cinzia Turrin, giornalista e saggista, traccia il profilo di questo leader sui generis, "padre della patria" e
mwalimu, "maestro", come veniva comunemente chiamato. Nyerere, infatti, aveva sempre concepito il potere come servizio alla sua gente, mantenendo uno stile di vita sobrio e dando un esempio virtuoso. E cercando di organizzare la vita sociale ed economica del suo popolo secondo quello che l’autrice definisce «lo spirito di fratellanza tipico delle società africane». Il suo progetta ruota attorno al concetto di
ujiama, il comunitarismo familiare, che valorizza il tessuto sociale africano e rifiuta varie forme di ricatto e dipendenza dalle ex potenze coloniali. «Abbiamo ereditato un Paese con l’85 per cento della popolazione adulta analfabeta – dichiarava lo stesso Nyerere –. Gli inglesi ci avevano governato per 43 anni. Quando se ne sono andati, c’erano due ingegneri e dodici medici. Quando mi sono dimesso (1985
ndr), c’era il 91 per cento della popolazione alfabetizzata e quasi tutti i bambini andavano a scuola. Abbiamo formato migliaia di ingegneri, medici e insegnanti». Certo, non tutto dell’esperienza di Nyerere è inattaccabile: le critiche più dure riguardano la disciplina del partito unico, un certo autoritarismo e lo spostamento forzato di intere popolazioni nei cosiddetti
villaggi ujamaa, in cui venivano collettivizzate le produzioni agricole. La rivista statunitense
Forbes non ha esitato a definirlo, al momento della sua scomparsa nel 1999, un "dittatore". Aggiungendo che «l’approccio di Nyerere ha devastato gran parte dell’Africa post-coloniale». Più moderato il
Guardian, secondo il quale il
Mwalimu «ha fornito un contributo originale alla dialettica progressista con la sua idea di
ujamaa, come base per una distribuzione e produzione economica equa». Temi che sono ancora oggi di grande attualità. Così come quelli legati alla sua fede. Figlio di un poligamo, seguace delle religioni tradizionali, Nyerere ricevette il battesimo a 21 anni. Una scelta portata avanti con grande coerenza per tutta la vita. «Nel socialismo africano di Nyerere – sottolinea la Turrin – si possono rintracciare elementi del primo cristianesimo». Ma si vede anche uno sforzo per liberarlo dai retaggi del colonialismo, pur mostrando in più occasioni grande ammirazione e riconoscenza per i missionari che, sostiene Nyerere, «hanno portato all’Africa il meglio di ciò che sapevano». Poco dopo la sua morte, il vescovo della diocesi di Musoma istituiva un tribunale diocesano per dare inizio al processo di canonizzazione. Il 13 maggio 2005, la Congregazione per le cause dei santi ha dato il benestare affinché Nyerere sia chiamato "Servo di Dio". E il 21 gennaio 2006 è stata ufficializzata la fase diocesana del processo di beatificazione. «Il nostro principale obiettivo – ha detto il cardinale Poplycarp Pengo, arcivescovo di Dar es Salaam – è quello di stimolare i politici, gli statisti e gli uomini d’affari a vivere una vita che possa condurli alla santità». Il libro è completato da due articoli di Marco Biagi, il giuslavorista ucciso nel 2002 dalle Nuove Brigate rosse, che rimase colpito dall’esperienza di Nyerere durante un viaggio in Tanzania nel 1973. Biagi aveva intuito la «grande originalità del progetto di Nyerere, un uomo cattolico educato ad Oxford, che si è formato sui testi del socialismo europeo e che ha saputo capire che per il bene del suo popolo era indispensabile inventare una forma di socialismo adatto alla società africana. E in questo progetto ha infuso tutto il coraggio dell’africano che da secoli muore di fame e tutta la genialità del politico la cui influenza, in Africa, va ben oltre i confini della Tanzania».