martedì 17 dicembre 2013
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Sembra passato un secolo, e invece nemmeno due lustri son trascorsi da quel 2006 quando la umma islamica si sollevò, anche violentemente, per le vignette – considerate “blasfeme” – di un giornale danese raffiguranti Maometto. Da allora diversi casi si sono poi verificati. Fu giusta ribellione? Si trattò di una reazione in linea con la natura storica, culturale e artistica dell’islam? A seminare dubbi su tale interpretazione, dati (o meglio, in questo caso, figure) alla mano, è oggi uno dei più grandi storici dell’arte viventi, François Boespflug, domenicano, storico delle religioni ed esperto di iconografia religiosa: il suo monumentale Le immagini di Dio. Una storia dell’Eterno nell’arte è stato pubblicato nel 2012 da Einaudi. Ora Boespflug, docente all’Università di Strasburgo, si focalizza sulla rappresentazione di Maometto nel corso dei secoli arrivando ad una conclusione tranchant: «Dal punto di vista del diritto islamico la rappresentazione pittorea o scultorea del Profeta non è oggetto di un’interdizione stretta ed esplicita né nel Corano, che condanna formalmente solo gli idoli, né negli hadith [i detti del Profetta, l’altra grande sorgente dottrinale dell’islam, ndr]».Anzi, Boespflug arricchisce il volumetto, denso e documentatissimo (in un testo così breve, le note bibliografiche occupano ben 35 pagine), in cui dipana la sua tesi – Le Prophète de l’islam en images. Un sujet tabou? (pagine 190, euro 19,00), appena uscito in Francia per Bayard – con una carrellata di una ventina di immagini di ambiente islamico, antiche e moderne, in cui Maometto viene rappresentato. Si va da miniature medievali a figure rinascimentali fino a opere moderne, ad esempio testi turchi del XVIII secolo. Ma quali tornanti ha subito la rappresentazione figurativa di Maometto nel corso del tempo?Boespflug attinge dalla tradizione coranica per affermare che, a differenza della Bibbia, «il Corano non presenta un’interdizione esplicita alle immagini di Dio«. Quel che è bandito, negli hadith, è che l’uomo «diventi un plagiatore dell’unico artista, che è Allah». Ecco allora che, da un punto di vista strettamente artistico, l’islam trova una “scappatoia”: «I testi giuridici concludono che se le rappresentazioni figurative di esseri umani o animali sono oggetto di disputa perché dotati di soffio vitale, essi diventano teologicamente tollerabili se li si presenta privi di soffio, per esempio senza testa o con il volto privo di occhi e bocca, un viso mutilato oppure coperto». E infatti l’apparato iconografico presentato da Boespflug mostra proprio tale florilegio di rappresentazioni di Maometto figurativamente prive di cranio oppure con un velo sul volto. Fino alle versioni più moderne (per esempio, una del 1854) in cui il Profeta viene stilizzato in maniera calligrafa.Da un punto di vista intra-islamico, Boespflug distingue sull’argomento due posizioni opposte: da un lato il mondo sunnita, che tende al divieto totale di ogni rappresentazione maomettana; dall’altro quello sciita, più aperto: «Basta consultare i cataloghi delle recenti esposizioni artistiche in diverse parti del mondo per convincersi che vi fu un tempo in cui la rappresentazione del Profeta era un fatto normale». Il punto di cesura viene identificato dalla studioso francese nell’avvento del wahhabismo, la corrente di lettura integralista del Corano, affermatasi nel Settecento a partire dall’Arabia Saudita. Corrente che si fece forza di un hadith («Quando vi troverete faccia a faccia con un’immagine, distruggetela») per fare piazza pulita di ogni manufatto artistico-raffigurativo. Posizione ben distante dalla fatwa emessa – nei primi anni Duemila – dal gran muftì sciita Ali al-Sistani dalla città santa di Najaf, in Iraq, secondo il quale è possibile, sia in televisione che su disegno, rappresentare Maometto, salvo casi di ironia o sarcasmo. Ma la questione è più profonda e riguarda qualcosa in più di una semplice vignetta, anche ironica: «Diciamolo una volta per tutte: chi ha risposto con violenze totalmente sproporzionate alle caricature del Profeta ha fatto una caricatura dell’islam stesso – denunciava nel 2006 su “Esprit” l’islamologo Abdennour Bidar –. Quando l’islam sarà capace di un po’ di autoironia?». E secondo Malek Chebel, una delle voci islamiche più “illuminate” in Occidente (suo il Manifesto per un islam “moderno”, Sonda), al fondo della domanda «Maometto rappresentabile?» vi è ancora il nodo, per l’islam, di separare religione e politica. «È ora che cessino i crimini giustificati dalla difesa dell’onore di Dio – conclude Boespflug –. La peggior caricatura di Dio non è forse disprezzare la persona umana in nome dell’onore di Dio?».
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