Il 7 novembre 1996 René Girard, l’antropologo e filosofo francese scomparso l’altro giorno a Stanford (Usa), pronunciava alla Statale di Milano il suo intervento su «Violenza e verità nei Vangeli e nella mitologia», primo contributo della IX edizione della «Cattedra dei non credenti» promossa dal cardinale Carlo Maria Martini e dedicata quell’anno proprio a «Fedi e violenze». Il testo della conferenza, finora inedito, appare adesso nella raccolta Le Cattedre dei non credenti, appena uscita a cura di Virginio Pontiggia da Bompiani (pagine 1.256, euro 25,00); ne pubblichiamo in questa pagina la parte iniziale. Quella sera a Milano Girard, che all’epoca aveva 72 anni, tentò per la prima volta una densa sintesi del suo pensiero, incentrata – come noto – sulla teoria del «capro espiatorio», la vittima innocente sulla quale per un meccanismo di mimetismo sociale si scatena la violenza collettiva.Molti miti assomigliano ai Vangeli. Incominciano con una catastrofe qualunque, un "caos" più o meno originario, una grande crisi che, al di là degli aspetti fantastici, non è forse molto diversa dalla crisi religiosa, sociale, politica di cui trattano i Vangeli.Nei miti questa crisi sfocia spesso nella più brutale violenza collettiva, l’omicidio di massa, il linciaggio. Spesso la violenza, anche senza essere effettivamente collettiva, è di ispirazione collettiva: è il caso, lo sappiamo, della crocifissione, decretata solo da Pilato, certo, ma sotto la pressione della folla. Tutto finisce con un ritorno trionfale della vittima, spesso paragonabile a una resurrezione.Osservando queste somiglianze, già i difensori del paganesimo antico negavano la singolarità del cristianesimo. Il dibattito si riaccese nel XIX secolo, con la scoperta nel mondo intero di culti arcaici, fondati anch’essi su una violenza collettiva o di ispirazione collettiva. Sulla base di queste somiglianze, l’etnologia ha cercato per molto tempo di dimostrare la natura mitica del cristianesimo. Ha fallito, ma cionondimeno è riuscita a convincere gran parte dell’opinione e oggi anche molti cristiani sono persuasi che sia insostenibile rivendicare una singolarità assoluta al cristianesimo. La visione mitica del cristianesimo è rafforzata da tutti i sincretismi che, come la teoria di Jung, mettono l’accento sull’unità simbolica del religioso.Questa visione è falsa; e la sua falsità può essere dimostrata a partire dai Vangeli. In essi c’è una concezione del desiderio, della violenza e dell’organizzazione sociale che consente di comprendere ciò che sono i miti e di rifiutare la loro assimilazione al cristianesimo. Quando Gesù ci ordina di seguirlo o di imitarlo, non ci chiede di adottare i suoi modi di fare o le sue abitudini personali, di cui non sappiamo nulla; è piuttosto il suo desiderio più intenso che ci chiede di assumere. Questo desiderio tuttavia non gli appartiene in proprio, poiché consiste nell’imitare il desiderio di Dio, il Padre.Una volta che siano soddisfatti i nostri appetiti naturali, desideriamo tutti intensamente, ma non sappiamo esattamente che cosa, dal momento che è all’invisibile e all’inaccessibile che noi aspiriamo. Secondo san Paolo noi non sappiamo nemmeno ciò che vogliamo chiedere a Dio e «lo Spirito intercede per noi con gemiti ineffabili» (Rm 8,26). Per orientare il nostro desiderio, cerchiamo dappertutto modelli capaci di guidarci. Capita spesso che il modello scelto venga a turbarci l’esistenza, anche e soprattutto se non è troppo diverso da noi. Imitando il nostro vicino, il nostro prossimo, noi desideriamo ciò che lui desidera e, non volendo o non potendo possedere entrambi l’oggetto di quel desiderio, ce lo contendiamo. Invece di scoraggiare i desideri cui si oppone, questo tipo di conflitto li alimenta, perché rinforza l’imitazione e la rende reciproca.Più i rivali si scontrano con l’ostacolo che sono diventati l’uno per l’altro, più ne sono ossessionati e più insistono nello scontrarsi. Per designare l’ostacolo del desiderio rivale, i Vangeli hanno un termine specifico: «scandalo», in greco
skandalon. Esso non significa tanto l’ostacolo ordinario, con il quale ci si scontra una volta sola perché si impara subito a evitarlo, quanto l’ostacolo contro il quale si ritorna continuamente. Più ci fa male, più ci sembra desiderabile; più ci respinge, più ci attrae. La traduzione antica – pietra su cui si inciampa – suggerisce la dimensione ripetitiva o cumulativa degli scandali, mal surrogata dalle traduzioni recenti, del tipo «occasione di peccato». Lo scandalo è ciò che succede al desiderio umano, quando il modello che lo ispira si trasforma in rivale e in ostacolo per il fatto stesso che lo si imita: è il modello/ostacolo del desiderio imitativo o mimetico. Meglio di ogni teoria moderna, i testi evangelici sullo scandalo spiegano la violenza umana e il suo straordinario potere di contagio e di penetrazione.
Anche se lo scandalo ci minaccia continuamente, non dobbiamo generalizzare nella condanna del desiderio. Alla sua natura imitativa, mimetica, non bisogna far risalire soltanto il peggio degli uomini, ma anche la loro parte migliore, il loro slancio verso Dio. Se noi imitiamo Cristo o i suoi discepoli, nessuna rivalità ci minaccia, perché il Figlio e il Padre sono estranei a ogni brama, a ogni volontà di egoistico accaparramento.Gesù, tuttavia, non si fa illusioni sul successo dei suoi avvertimenti riguardo allo scandalo. Ne è prova la famosa frase: «È inevitabile che avvengano scandali» (Mt 18,7). E una volta accaduti, gli scandali si riproducono e si intensificano molto velocemente. Se non ci fosse nulla per interromperne l’ascesa, si arriverebbe diritti alla distruzione di ogni comunità. Ciò che interrompe la corsa verso l’abisso, paradossalmente sono gli stessi scandali. Riproducendosi ed esasperandosi, finiscono per suscitare la crisi decisiva, che li rimuove non per sempre ma per un tempo più o meno lungo.