Una cosa, forse, avevamo capito tutti delle origini dell’universo, ma pare che non vada bene nemmeno quella. Il big bang non è stato un’esplosione. O almeno così come ce la immaginiamo noi, con un centro irradiante e tutti i pezzettini che si espandono e si allontanano a formare galassie, stelle, pianeti e tutto il resto. Invece non solo pare che non ci fosse nemmeno un centro, ma forse il big bang non è neppure l’inizio di tutto: «C’è chi ipotizza che sia in realtà un evento di uno spazio-tempo preesistente, e quindi all’origine solo di questo universo». Amedeo Balbi si è scelto un compito tanto difficile quanto affascinante: portare alla comprensione dei comuni mortali teorie e scoperte dell’astrofisica. Buchi neri, materia ed energia oscura, radiazione di fondo. Misteri spesso agli scienziati stessi, a conferma come «due cose riempiono l’animo di ammirazione e venerazione sempre nuova e crescente – come scriveva Kant – quanto piú spesso e più a lungo la riflessione si occupa di esse: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me».Del primo Balbi, ricercatore a Tor Vergata, un curriculum che lo ha visto a Berkeley a fianco del premio Nobel George Smoot, se ne è occupato a più riprese in volumi come
La musica del big bang,
Il buio oltre le stelle, il recente
Cercatori di meraviglia, ma anche nel fumetto
Cosmicomic. In maniera più quotidiana posta commenti e notizie sul suo blog keplero.org. «Comunicare la scienza è difficile. Comunicare le immense vastità di spazio e di tempo dell’universo in cui viviamo lo è in modo particolare», conferma. La sua esperienza sarà al centro dell’incontro che si tiene oggi al Festival della Comunicazione di Camogli, dal titolo «Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana». Questa volta, però, la citazione non è da Kant ma da
Guerre Stellari.
La fantascienza spesso è il riferimento principale per raccontare le profondità del cosmo. Ma lo spostamento sul piano del fiabesco non rischia in qualche modo di derealizzare questi fenomeni?«La comunicazione scientifica usa il meraviglioso come modo per avvicinare le persone ai questi temi. È un approccio che fa appello alla componente più emotiva e aperta alla curiosità. L’aura fiabesca porta però alla luce la vera difficoltà nel comunicare scoperte e temi di astrofisica, che è di linguaggio e di scala: quando parliamo di una galassia posta alla distanza di 100milioni di anni luce dalla Terra, il termine "lontano" non è paragonabile a nessuna esperienza che abbiamo di lontananza. Non riusciamo a visualizzarlo e quindi interiorizzarlo, renderlo vicino ai concetti che abbiamo sviluppato per orientarci nel mondo che ci è prossimo. È un sistema completamente al di fuori del nostro quotidiano».
La difficoltà resiste anche tra gli addetti ai lavori?«In alcuni casi sì. Gli scienziati però usano strumenti concettuali per superare l’impasse linguistica passando dalla parola alla matematica, un linguaggio, cioè, formalizzato per esprimere queste grandezze. È una delle ragioni per cui molti scienziati sono diffidenti nei confronti della divulgazione, perché pensano di essere i soli depositari di un pensiero che non può correre il rischio di essere corrotto e stravolto. La sfida, invece, è riuscire a tradurre tutto questo in un discorso piano».
Lei ha un blog. Il web come ha cambiato la divulgazione scientifica?«Non penso abbia cambiato i linguaggi ma ha reso più veloce e accessibile la notizia. Oggi si possono seguire in diretta esperimenti e ricerche. La rete ha aperto canali per un pubblico attivo, interessato a argomenti di nicchia. Ma soprattutto ha dato la possibilità di comunicare agli scienziati che volessero farlo, mentre prima dovevano passare per canali e media istituzionali. Penso che abbia favorito l’emergere di questa figura anfibia tra scienza e comunicazione. Nel mondo anglosassone si vede un sistema molto avanzato in questo senso».
Qual è invece la situazione in Italia?«È sorta una nuova leva di ricercatori più impegnati che nel passato. Dieci anni fa, quando ho cominciato, i blog erano pochi, oggi sono tanti e alcuni molto buoni. La difficoltà è invece nei media tradizionali. È difficile trovare buona divulgazione scientifica in tv, a parte alcuni programmi storici. È un peccato, perché il piccolo schermo ha un impatto sul pubblico di massa mentre il web coinvolge soprattutto le comunità di appassionati».
Esistono però temi tanto difficili da resistre alla divulgazione?«Ci sono aree particolarmente complesse. Rimanendo alla cosmologia, uno degli argomenti più difficili da trattare sono gli avvenimenti prossimi quando ci avviciniamo al big bang. Le cose sono molte cambiate a livello scientifico, molte ipotesi non sono ancora diventate di dominio pubblico, nemmeno tra i semiaddetti ai lavori. Eppure sono proprio gli stessi temi che sollevano più frequentemente le domande da parte del pubblico, a partire da che cosa c’era prima del big bang».
Sono domande che hanno un sapore metafisico..«Da sempre l’uomo indaga su quale sia stato l’inizio dello spazio e del tempo, se c’è stata una causa incausata, per usare un termine aristotelico. Ma appunto, sono categorie che ci spingono verso il terreno della filosofia. La scienza, non dobbiamo dimenticarlo, lavora su un campo diverso».