La
longa manus dei servizi segreti diede prova delle sue raffinate capacità di manipolazione, dietro le quinte di uno dei più velenosi casi giudiziari del secondo dopoguerra. È quanto emerge dalle carte segrete sul processo De Gasperi-Guareschi che si concluse nell’aprile del 1954 con la condanna del papà di don Camillo a un anno di carcere per diffamazione. Il grande giornalista e umorista finì alla sbarra per aver pubblicato, sul suo
Candido, due lettere del ’44 attribuite a De Gasperi, nelle quali lo statista trentino chiedeva agli Alleati di bombardare la periferia di Roma. I due documenti, che il leader democristiano dichiarò con sdegno falsi, facevano parte di un voluminoso
corpus di carteggi che comprendeva il famoso epistolario tra il Duce e Winston Churchill. Tale esplosivo materiale era detenuto da uno strano personaggio, l’ex tenente della Guardia nazionale repubblicana Enrico De Toma, classe 1925. Questi raccontò di aver messo le mani sui dossier su incarico dallo stesso Mussolini, il quale nell’aprile del ’45 gli avrebbe raccomandato di metterli al sicuro in Svizzera. E fu proprio da depositi bancari nella Confederazione elvetica che i carteggi riemersero nel dopoguerra, per intervento dello stesso De Toma. Alcide De Gasperi in breve divenne la vittima designata di una manovra torbida che aveva per obiettivo il suo screditamento politico. Il clima interno era arroventato: il centrismo, la formula degasperiana, era entrata in crisi e molti attori avevano interesse a destabilizzare il quadro politico, chi da destra, chi da sinistra. La feroce campagna contro la cosiddetta "legge truffa" aveva dato la misura della posta politica in gioco. Uomini del servizio segreto, il Sifar, cercarono dapprima di capire se fosse possibile recuperare quelle carte scottanti, brandite dall’ex tenente della Gnr con minacciosa disinvoltura, quasi a voler maneggiare una micidiale carica esplosiva. Ma i tentativi di agganciare De Toma e la sua "cricca" fallirono, così apparati dello Stato si diedero a organizzare una manovra atta a far crollare la credibilità dei documenti e del loro stesso detentore.Perché tanto affanno e tanti sforzi per togliere dalla circolazione delle carte sicuramente false? Va anzitutto riconosciuto che, se oggi siamo certi che il materiale di De Toma è in blocco apocrifo, nel 1954 sussistevano dubbi in proposito. Neppure gli esperti erano concordi nel giudicare grossolanamente falso il carteggio Duce-Churchill, e soprattutto non era chiaro che quelle carte erano state confezionate ad arte a imitazione di documenti invece sicuramente autentici. Ma, a parte ciò, bisogna considerare che, a quel tempo, Winston Churchill era nuovamente alla guida del governo britannico, e dunque interessato direttamente ai dossier che potevano documentare suoi contatti e collusioni con il Duce. Negli affari di De Toma entrarono in scena, ad un certo punto, anche i maggiori gruppi editoriali. Dapprima Mondadori, che fiutò l’affare, staccò un assegno di un milione e mezzo di lire per garantirsi l’esclusiva della pubblicazione dei carteggi, salvo poi defilarsi. Per quale motivo? Lo Stato italiano aveva interesse a favorire Churchill e Arnoldo Mondadori era un editore filo-governativo. La pubblicazione dell’epistolario, inoltre, avrebbe distrutto l’immagine dell’uomo col sigaro, portando alla luce il "tradimento" da lui perpetrato nei confronti di Mussolini e dell’Italia. Sarebbe, infatti, emerso che Churchill aveva pugnalato alla schiena il Duce, dopo averlo allettato inducendolo a entrare in guerra!Se dunque Mondadori scelse di cedere alle pressioni del governo, più spregiudicato fu invece Rizzoli, che entrò nell’
affaire. E il più temerario fu Giovannino Guareschi, che cominciò col pubblicare sul rizzoliano
Candido le lettere di De Gasperi. Lo statista trentino denunciò l’imbroglio e ne derivò un processo destinato a fare clamore. De Gasperi mandò a Churchill copie di dodici lettere a lui attribuite, in modo da ottenere la certificazione della loro inautenticità. E il settimanale “Oggi”, diretto da Edilio Rusconi, che alla fine di aprile del ’54, dopo la conclusione del processo De Gasperi-Guareschi, aveva cominciato a pubblicare brani del carteggio, fu costretto a interrompere l’iniziativa alla terza puntata, per non incorrere a sua volta in ulteriori incidenti.Le carte segrete sulla
querelle, conservate nell’archivio privato degli eredi di Alessandro Minardi, principale collaboratore di Guareschi, gettano ora una luce inquietante su queste vicende. Ne emergono personaggi dal profilo ambiguo, com’è il caso di Gino Gallarini, ex prefetto della Rsi, che si dedica a una serie di manovre sicuramente pilotate dai nostri servizi segreti. Questi era il braccio destro di un industriale del Nord, Aldo Marinotti, uomo della destra politica intervenuto nella cordata di De Toma. Gallarini dapprima si assicura la fiducia dell’ex tenente della Gnr, poi si mette di traverso alla collaborazione con la Mondadori, facendola fallire. Spinge quindi con successo De Toma ad avviare trattative con la Rizzoli; punto debole, e dunque sacrificabile, dell’impero editoriale rizzoliano viene individuato in Guareschi, che da tempo è entrato politicamente in rotta di collisione con De Gasperi. Baffone, ingenuamente, ingoia la polpetta avvelenata. Il processo a suo carico, con la conseguente demolizione dell’intero carteggio Churchill-Mussolini, crea però un precedente destinato a ipotecare negativamente, nei decenni successivi, le discussioni storiografiche riguardanti la reale esistenza di un epistolario tra il Duce e lo statista d’Oltremanica. Tra le carte inedite che oggi riemergono, c’è una lettera, datata 25 marzo 1954, che De Toma invia a Minardi. Allegata ad essa, vi è un memoriale con il quale il detentore dei carteggi illustra le manovre di destabilizzazione condotte da Gallarini. De Toma fiuta trame dei servizi segreti e infatti scrive: «Non le nascondo la mia preoccupazione per questi avvenimenti che stranamente si accavallano, quasi fossero manovrati a bella posta». De Toma ha paura, e chiede di poter restare in Svizzera, dove si trova da tempo e si sente maggiormente sicuro. Il 13 marzo scrive a Guareschi: «Ho la sensazione che Gallarini stia preparando Marinotti allo sganciamento. Poiché so che Marinotti, qualunque sia il suo personale punto di vista, subisce l’influenza continua e diretta di Gallarini, ho pensato bene di scrivergli pregandolo di concedermi quanto prima un colloquio». I timori di De Toma si dimostreranno fondati in quanto le cassette di sicurezza bancarie riconducibili al suo nome saranno "visitate" e svuotate dai servizi segreti, mentre lui stesso finirà in carcere nel luglio del ’54. Tra i documenti segreti del caso De Gasperi-Guareschi, vi è anche un appunto autografo di Minardi, dal quale emerge un possibile coinvolgimento nell’
affaire di un personaggio eccellente finora mai sfiorato dalle ricostruzioni sull’argomento: si tratta dell’arcivescovo di Milano, il cardinale Ildefonso Schuster. Minardi, nella breve memoria, annota di una visita del misterioso Gallarini avvenuta nella redazione di
Candido. L’ex prefetto fascista dapprima cerca di giustificare il suo strano comportamento come dovuto ad avversità personali. Poi, scrive Minardi, Gallarini annuncia una sua visita al porporato: «Va dal card. mercoledì per portare "Cand" [una copia di
Candido, ndr ] e "ri-inquadrarlo"». Il termine usato da Gallarini,
ri-inquadrarlo, sembra scelto appositamente per suggerire un tentativo, se non di manovrare l’arcivescovo di Milano, quantomeno di tenerlo dalla propria parte. In realtà, però, si sa che Schuster manifestò sempre un particolare interesse per il carteggio Churchill-Mussolini e, in genere, per tutte le questioni legate alla fine del Duce. Fu infatti nella sede dell’arcivescovado milanese che il dittatore fascista, il pomeriggio del 25 aprile 1945, ebbe un infruttuoso colloquio con i maggiorenti della Resistenza.