Struttura e profezia, potere e coscienza. Quando si citano parole e concetti così pregni di significato, anche e soprattutto nel perimetro ecclesiale, viene in mente quel che dom Helder Câmara, indimenticato vescovo e "amico dei poveri" (e "amico mio" come lo salutò nel suo Brasile Giovanni Paolo II), soleva ripetere: «Nella Chiesa c’è bisogno, come in ogni macchina, di un freno e di un acceleratore. Se ci fosse solo chi frena, l’automobile non andrebbe avanti». Un "acceleratore" era sicuramente don Tonino Bello, vescovo di Molfetta, scrittore e oratore come pochi ci furono nel cattolicesimo italiano degli ultimi decenni, di cui il mese prossimo (10 aprile) ricorrono i 20 anni della morte. Riprendendo un classico della letteratura contemporanea come Ignazio Silone, nel marzo del 1992 don Tonino Bello intavolò un dialogo con Nicola Magrone, uomo di legge, magistrato prima a Monza, poi Bari, quindi in Molise. Ora quel confronto serrato è disponibile in
La coscienza e il potere (la meridiana, pp. 48, euro 8; in libreria dal 18 marzo), in cui funge da filigrana appunto l’autore di
L’avventura di un povero cristiano. Che viene elogiato dal vescovo pugliese perché capace di proclamare, nel suo romanzo, alcune «verità inossidabili, incoercibili, murate all’interno della nostra natura: il rispetto dell’altro, la valorizzazione dell’altro, il rispetto della verità, il rispetto della giustizia, l’amore del prossimo». Don Tonino riprende proprio un brano del celebre romanzo di Silone sul papa dimissionario Celestino V in dialogo con Bonifacio VIII: «Il monaco-papa dice: "Noi non possiamo annacquare queste verità del Vangelo, questi paradossi; non possiamo ridurli a livello di buonsenso". Ecco: questi paletti ci sono, sono disegnati». Insomma, il rapporto tra profezia e istituzione, fra struttura e spirito torna dunque prepotente nella riflessione di Tonino Bello. Che spazia in entrambi i poli di questo rapporto. Da un lato infatti rifugge ogni sentimento di ribellione e contestazione: «Io intanto voglio rivendicare la bontà originaria delle strutture. Pensiamo che anche Cristo ha scelto la struttura umana per potersi incarnare: è entrato in una cultura, in un modulo di pensiero, in uno schema, in un tempo preciso della storia, è entrato in una struttura». Dall’altro lato ricorda come l’elemento profetico abbia sempre soffiato nella Chiesa: «Pensiamo a tutti coloro che sono rimasti dentro: quale
metanoia hanno provocato, quale cambiamento di mentalità! Penso a un don Primo Mazzolari, penso a un David Turoldo, penso a Balducci... Balducci aveva tutte le qualità per essere mandato al rogo, però è rimasto. Turoldo, Zanotelli che cosa non provocano? Questa gente parla con molta franchezza e coraggio, con molta
parresìa. Ecco, la
parresìa ... è una categoria biblica, degli
Atti degli Apostoli, e significa parlar franco, parlare con chiarezza, senza aver paura, di nessuno». Nel suo interloquire don Tonino Bello cerca di far capire continuamente ai propri interlocutori la natura soprannaturale dell’essere Chiesa. Un modo "altro" di vedere la forma della comunità dei credenti, anche nella sua essenza gerarchica, che presuppone uno sguardo di fede; al contempo non esime dalla volontà di ricercare la testimonianza evangelica più pura e credibile. Afferma don Tonino: «Io, come credente, e a differenza di tanti altri che dicono la stessa cosa per ciò che riguarda altre strutture, so che la Chiesa oltre che essere struttura, istituzione, è anche mistero. Con il Concilio Vaticano II si è sottolineato che la Chiesa oltre che istituzione è soprattutto mistero, cioè una realtà complessa, difficilmente descrivibile con una definizione. Una realtà che possiamo vedere solo attraverso degli oblò, cangianti per giunta. Immaginiamo uno scafo, che si rivolti nelle acque dell’oceano… c’è un oblò. Attraverso il quale noi vediamo dall’esterno che cosa c’è all’interno, poi ce n’è un altro, poi un altro». Infine. Proprio in momenti in cui la Chiesa tutta, e non solo, attende il nuovo pontefice, sembrano scandalosamente provocatorie queste parole di don Tonino su cosa sia, nella sua essenza (resa metaforicamente) la Chiesa. Con un immagine presa dalla vita delle nostre città la fede del vescovo di Molfetta testimoniava la sua visione di una Chiesa come strumento di Dio: «È come quando si costruiscono i grandi palazzi o una grande chiesa di pietra. Accanto i muratori fanno un casotto prefabbricato dove mettono gli strumenti, dove si radunano quando piove, dove hanno le carte, i progetti, dove mettono la merenda, depositano la giacca. Ecco: quella è struttura. Una volta che è stata costruita la casa o il complesso edilizio, quel casotto viene abbattuto. La struttura è quello. La Chiesa - cattolica, apostolica, romana - è quel casotto».