Tra evoluzione, come teoria scientifica, e creazione, come verità teologica, se si prendono nei contenuti propri di ciascuna, non dovrebbero esserci contrapposizioni. Stephen Gould (1992) ha osservato che esse appartengono a due ordini di conoscenza diversi, a due magisteri non sovrapponibili (noma:
non overlapping magisteria) e quindi non possono entrare in conflitto tra loro. La verità della creazione non implica che la realtà, così come noi la vediamo, provenga direttamente da Dio, da un cenno della sua volontà, dalla sua parola, come dice la Bibbia, quasi che non abbia avuto un passato, una storia, e neppure implica che la realtà creata debba essere vista, secondo un’idea cara alla teologia naturale del teologo Paley e fortemente osteggiata da Darwin, come un orologio perfettamente predefinito, funzionante e sempre uguale a se stesso. Tra le sollecitazioni culturali dell’evoluzionismo quella del carattere storico della vita, cioè delle vicende che l’hanno caratterizzata sulla terra, è tra le più forti. Variazioni negli esseri viventi e vicende ambientali complesse fanno apparire il mondo della natura come una realtà dinamica e non statica, che ha portato al popolamento degli spazi acquatici e terrestri con i milioni di specie che oggi si contano. Vi sono stati eventi casuali ed eventi di tipo deterministico dovuti alle leggi della natura. Tutto si è succeduto in diverse centinaia di milioni di anni. Sarebbe illusorio riferire la storia della vita a un progettista o un operatore, come se tutto, in ogni particolare, fosse stato progettato in vista di uno scopo. Nello stesso tempo il mondo della natura ci appare ordinato e armonico nel suo insieme. È un sistema che funziona. E il Creatore? Come può essere visto in questa storia della terra e della vita sulla terra, segnata da eventi aleatori e da eventi di tipo deterministico? Con quale rapporto con la realtà presente? La teologia, sulla linea del pensiero di san Tommaso, vede Dio come «causa prima» che fa esistere le cose, cioè gli elementi della natura, come «cause seconde», nel loro inizio e nei cambiamenti che le caratterizzano. I fattori della natura vengono considerati come «cause seconde». Si può dire che nella evoluzione si prolunga la creazione. Questo modo di agire di Dio corrisponde a un’economia che lascia autonomia e spazio alle «cause seconde», cioè ai diversi fattori, anche casuali, che agiscono nella natura. Dio non fa le cose, fa in modo che si facciano, diceva Teilhard de Chardin. Il Catechismo della Chiesa cattolica così si esprime: «Dio e la causa prima che opera nelle e per mezzo delle cause seconde» (n. 308). Dunque una creazione che si manifesta nel tempo attraverso le trasformazioni della natura creata da Dio.Nell’economia divina, che include lo sviluppo e il manifestarsi delle potenzialità della creazione, può essere visto il Big Bang, la grande esplosione a cui vengono ricollegati gli inizi e la formazione dell’universo. Alcuni vedono nel Big Bang una prova scientifica della creazione, ma ciò non è corretto, proprio perché il concetto di creazione è essenzialmente di ordine filosofico, e il Big Bang è una teoria scientifica, per quanto attualmente la più accreditata, che si fonda su un modello e su ragionamenti, non su dati empiricamente rilevabili. Il passaggio dal nulla all’esistenza non è documentabile. Le vicende che sono seguite da quel primo istante per l’energia e la materia possono inquadrarsi nello sviluppo di potenzialità della creazione e quindi nell’economia delle «cause seconde». Nessuno può negare la sintonia delle forze della natura e l’armonia che la caratterizza nel suo insieme. La regolarità del movimento degli astri, come le interazioni a livello infra-atomico e molecolare, non sono inquadrabili nella casualità. Si può parlare di razionalità scientifica nella natura che rimanda a una mente superiore, ha osservato Benedetto XVI. Ma risalire a una causa intelligente superiore, in qualunque modo essa abbia operato, è ragionevole e non impedisce di cercare spiegazioni alle forze della natura e alla loro interazione ai vari livelli. L’intelligibilità del reale induce a pensare a una intelligenza che sta a monte di tutto. Questo ragionamento è a sua volta possibile perché c’è una intelligenza, quella umana, che è in grado di conoscere la realtà nelle sue diverse espressioni. Il riferimento dell’universo e della vita a una causa intelligente di ordine trascendente diventa congruente con la realtà che si osserva.Dalla visione scientifica o dalla visione teologica possono sorgere difficoltà o incongruenze tra l’una e l’altra. Un certo modo di intendere la creazione può far pensare a un mondo bene ordinato in tutte le sue parti, a un sistema perfettamente funzionante. La creazione viene intesa come sinonimo di opera perfetta. A ciò può avere contribuito l’attribuzione diretta di tutte le cose al Creatore, secondo il racconto biblico. Per le diverse realtà create nei sei giorni si dice: «Dio vide che era cosa buona». E chi potrebbe dubitare della bontà intrinseca degli elementi della natura? In realtà un mondo che si è formato per una serie infinita di trasformazioni ed è passato attraverso varie tappe di organizzazione dei viventi, un mondo che ha conosciuto cataclismi, terremoti, estinzioni di specie non può essere un mondo perfetto. Lo rileva il Catechismo che, pur non usando il termine di evoluzione, osserva che il mondo non è stato creato come noi lo vediamo, ma «in stato di via verso la perfezione ultima». La presenza del male nel mondo è un’altra incongruenza con l’idea di creazione e di progetto di Dio Creatore che spesso viene rilevata. Darwin stesso ne era disorientato. Non riusciva a rendersi conto di come vi sia tanta sofferenza in un mondo voluto da Dio. Ciò che lo turbava era soprattutto la sofferenza cosciente, la sofferenza umana innocente, lui che era stato provato dalla morte di una figlia appena dodicenne. Tutto questo in un mondo che non ha un riferimento trascendente può essere più facilmente spiegato. Ma se si ammette un Creatore all’origine di tutto, se si ammette un suo disegno, come è possibile pensare che egli abbia creato un mondo che produce tanta sofferenza? Non avrebbe potuto farlo migliore? È questa una delle obiezioni o degli interrogativi più forti che si pone chi ammette un progetto di Dio Creatore. Certamente vi sono limiti intrinseci al sistema della natura. Il carattere contingente delle cose si manifesta nella precarietà e provvisorietà e nell’inevitabile logorio prodotto nel tempo. La morte degli individui fa parte del ciclo della vita e dà spazio ad altri. È inevitabile. Il vero problema non è questo. Piuttosto ci si può chiedere se questa contingenza abbia un senso, se tutto si esaurisce in questa prospettiva. Per rispondere non ci si può limitare agli orizzonti della scienza. Ci si porta inevitabilmente sul piano filosofico. A questo punto può aprirsi la prospettiva della fede che si fonda sulla rivelazione di Dio e apre a orizzonti che vanno oltre quello terreno. Il progetto di Dio sul mondo da lui creato non è intramondano, non si esaurisce nella natura, ma si allarga a eventi che non riusciamo a immaginare e soltanto intravediamo nella fede. Essi hanno qualche connessione con il mondo presente, con la sofferenza e con la morte, dalle quali può germogliare una realtà nuova. Di fronte al male nel mondo, allo sconcerto della sofferenza e della morte l’annuncio cristiano rivela un progetto superiore che ha del paradossale.Tra i Mammiferi le scimmie sono quelli meno lontani dalla forma umana. Ma quale parentela abbiamo con loro? Una parentela diretta, per discendenza, con le scimmie antropomorfe, nonostante si cerchino le somiglianze con l’uomo, non viene sostenuta da nessuno. Allora una parentela collaterale? È quello che oggi si ritiene in base alle ricerche della paleoantropologia e della biologia molecolare: viene ammesso 6,7 milioni di anni fa un ceppo comune per le Antropomorfe e per gli Ominidi, tra i quali si svilupperà la linea umana. L’accettazione di queste umili origini dell’uomo può presentare qualche problema, soprattutto per la precomprensione che possiamo avere dalla descrizione della prima coppia umana fornitaci dalla Bibbia e dalle rappresentazioni di Michelangelo. Tuttavia una corretta interpretazione del testo biblico e l’individuazione di ciò che costituisce l’identità dell’essere umano dal punto di vista biologico e spirituale consentono di aprirsi all’evoluzione dell’uomo senza scandalizzarsi. L’uomo che oggi vediamo è punto di arrivo di un cammino non ancora concluso, ma ciò che lo contraddistingue sul piano culturale e spirituale c’è sempre stato. Ammettendo un salto ontologico nella comparsa dell’uomo e quindi il concorso di Dio Creatore, come può essere visto ciò? È un’intrusione di Dio nella storia della vita? Dio non lascia più fare alle «cause seconde»? L’obiezione viene mossa partendo anche dalla critica che viene fatta alla teoria dell’«Intelligent Design» che introduce una causa esterna per la formazione di strutture «irriducibilmente complesse» nel corso dell’evoluzione. Qualcosa di simile si avrebbe ammettendo la creazione immediata dell’anima in un ominide. Sarebbe un caso particolare della teoria dell’«Intelligent Design», per la quale si muovono giuste critiche. In realtà l’obiezione non regge. Infatti l’intervento di Dio nella comparsa dell’uomo non è per supplire a deficienze di causalità di ordine naturale al fine di realizzare una struttura biologica complessa, ma perché la struttura fisica del vivente non è adeguata a produrre da sola un essere arricchito dello spirito. Occorre una volontà superiore, il concorso di Dio Creatore. Quando e come ciò sia avvenuto è impossibile dirlo o immaginarlo. Non possiamo avere la pretesa di entrare nei pensieri del Creatore. D’altra parte, la comparsa di un essere intelligente e libero, che è cosciente e dà coscienza alle cose e riesce a contrastare la selezione naturale, non fa pensare che dietro tutte le vicende ci sia qualcosa che sfugge alle considerazioni di una mente umana? Ammettere che ci sia del mistero in questa costruzione dell’universo che si cerca di esplorare non è un’abdicazione alla nostra intelligenza, ma caso mai il riconoscerne i limiti. Molti equivoci nel dibattito su evoluzione e creazione sono venuti dalla pretesa di contestare la creazione sulla base della teoria dell’evoluzione mettendo il racconto biblico sullo stesso piano della scienza, ma sono venuti anche dall’opposizione all’evoluzione motivata da una lettura errata della Sacra Scrittura, come è avvenuto per il caso Galilei. Nello stesso tempo non si può ricavare dalla scienza quello che la scienza non può dire, e cioè dimostrare o negare l’esistenza di Dio o dell’anima. Sono fondamentalismi di segno opposto che purtroppo persistono ancora in alcune frange del mondo scientifico e del mondo religioso e non giovano né alla scienza né alla religione. Non dobbiamo scegliere tra evoluzione e creazione. La dottrina teologica e la narrazione biologica dell’evoluzione sono complementari.