martedì 14 giugno 2016
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Del grande arcivescovo Giacomo Biffi ricordo in particolare l’acutissima intelligenza, unita al vivace umorismo. Chiari segni dell’unità interiore di un’esistenza ancorata in Gesù Cristo e nell’amore per la Chiesa. Per quella di sant’Ambrogio, che lo ha generato alla fede e accolto nell’ordine sacerdotale; per quella di san Petronio, di cui è stato pastore per un ventennio. Per la Chiesa italiana tutta, che ha giovato dei suoi interventi profetici e dei suo richiami perspicui e puntuali; e per la Chiesa universale che egli amava incondizionatamente. Il cardinal Biffi aveva ben chiaro però come l’amore debba essere sempre unito alla verità e la verità sia sempre da annunciare con amore, perché Deus caritas est. Del resto – scrive il teologo Charles Journet, da Biffi molto apprezzato – , «Dio non si raggiunge che attraverso la verità e la carità, non attraverso la sola verità, poiché Egli è nello stesso tempo Verità e Carità, e «la Verità senza la Carità non è Dio» (Pascal)». Giacomo Biffi ha rappresentato inoltre una stella fissa capace di orientare nel firmamento della cultura e della realtà sociale italiana: molti ne apprezzavano, insieme alla mente acuta, il cuore grande innamorato del proprio Paese. Egli stesso, nelle sue Memorie e digressioni di un italiano cardinale, ha voluto sottolineare la precedenza della propria italianità come caratteristica assolutamente anteriore alla sua appartenenza ecclesiale. I testi di Biffi sono sempre capaci di prospettive audaci e privilegiate per contemplare il Mistero e per aiutarci a incrociare lo sguardo del Crocifisso Risorto: «Che cosa vede Gesù dall’alto della Croce? Vede l’oceano di stoltezza, di crudeltà, di viltà che da sempre ricopre la terra; ma sa che l’impeto della sua volontà di bene, provata fino al martirio, è più forte di ogni tracotanza  del male. Egli non ha dubbi: come sacerdote della nuova e definitiva alleanza, col suo sacrificio sta riconsacrando il mondo contaminato e sviato, che alla fine sarà ricondotto a servire il suo Creatore e a cantarne la gloria. Perciò il Crocifisso si spegne con la coscienza di aver portato a buon fine l’impresa che gli era stata affidata: “Tutto è compiuto” (Gv 19,30), è l’ultima sua parola».  «Dall’alto della croce Gesù vede con speciale tenerezza la moltitudine di quelli che, lungo la secolare vicenda della Chiesa, si arrenderanno nella loro esistenza concreta al fascino della sua grazia, e anzi si voteranno senza riserve ad annunziare il suo Vangelo e ad ampliare tra gli uomini l’appartenenza al suo Regno. E questo è uno sguardo d’infinita compiacenza, perché si posa sul frutto più saporoso della divina seminagione nel dolore: il morente ne è consolato e, pur tra i suoi spasimi, presenta silenziosamente al Padre l’omaggio della sua gratitudine. Chiediamo di essere confermati in questa schiera, di aver parte per sempre tra coloro che sono totalmente di Cristo, di poter entrare con generosità sempre più grande, come attivi e consapevoli collaboratori, nell’opera di illuminazione e di santificazione degli uomini, promossa e compiuta dal Figlio di Dio» (da G. Biffi, «Le cose di lassù. Esercizi Spirituali con Benedetto XVI », Cantagalli). «Molti apprezzavano, insieme alla mente acuta e al vivace umorismo, il suo cuore grande innamorato del proprio Paese»
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