«Il silenzio favorisce la rinascita della dimensione spirituale che la modernità ha soffocato sotto la spinta del razionalismo» assicura Michel Maffesoli ad Avvenire. Classe 1944, Maffesoli è uno dei più originali sociologi francesi. Da anni indaga i tratti dell’epoca che emergerà dalle rovine della modernità. I segni di questo passaggio d’epoca sarebbero evidenti. Comunità, sacro, sentimento sostituiranno presto individuo, materialismo, ragione. A promuoverne la ricomparsa è quel silenzio che Maffesoli indaga in La parole du silence (Cerf, pp. 160, euro 18) e nel recentissimo Le virtù del silenzio (Mimesis, pp. 106, euro 8).
Professore, perché occuparsi del silenzio? «Dopo il rumore e la furia caratteristici dell’epoca moderna, in quella che chiamo la società ufficiosa traspare un desiderio crescente per il silenzio. Esso è il veicolo per tornare ai principi fondamentali di esistenza».
Può spiegarsi meglio, per favore? «Il postmoderno supera la visione materialista del mondo moderno esaltando il potere dello spirito contro l’economicismo dominante. E la ricerca del silenzio sarà un tratto della nuova epoca. Questa tendenza la ritroviamo in molte pratiche giovanili oggi sempre più diffuse come il ritiro, i pellegrinaggi di vario genere, la preferenza per letture religiose e filosofiche».
Come mai la modernità ha emarginato il silenzio? «Per Max Weber una delle caratteristi- che dell’epoca moderna è la razionalizzazione generalizzata dell’esistenza sfociata poi nel disincanto del mondo. La realtà era sottomessa alla ragione, ogni cosa doveva dare la propria ragione d’essere. Insomma tutto poteva essere detto e niente doveva restare immerso nel mistero. Ora con lo sfaldarsi della modernità il gusto del mistero ritrova una forza innegabile ».
Come si era riusciti a imbrigliare il mistero? «La razionalizzazione è passata attraverso delle parole incantesimo, incapaci di cogliere il reale nella sua interezza. Il cardinale Newman le definisce unreal words. Le 'parole irreali' privilegiano una realtà rachitica, quella promossa dall’economia, dalla politica, dal sociale. A questa realtà impoverita io oppongo il Reale, gravido di miti, di simboli e degli aspetti misteriosi dell’esistenza umana. Nel Reale occorre trovare le parole che conducono alla parola fondatrice, che nella tradizione cattolica è il Verbo nella sua dimensione ricca e dinamica».
Ma il razionalismo non ha portato al trionfo della ragione o dell’ateismo. Pensi all’islamismo... «Il rifiuto del sacro generato dal rullo compressore del razionalismo porta al risorgere di un sacro indomabile che diventa perverso e sanguinario. I diversi fanatismi come il jihadismo non sono che manifestazione di questa perversione. Rousseau l’aveva previsto quando ammonì che ogni fanatismo ateo avrebbe partorito un fanatismo devoto».
Come possiamo uscirne? «Permettendo l’espressione pubblica delle forme religiose e consentendo così, per dirla con Aristotele, una sorta di catarsi».
Il cattolicesimo è un percorso di riscoperta del sacro? «Il cattolicesimo di tradizione può essere un modo di ridare forza al sacrale. Riprendo questo termine da Maritain per mostrare come al di là e al di qua del razionalismo lo spirituale cominci a rianimare le pratiche sociali».
Cosa intende per cattolicesimo tradizionale? «Penso che la tradizione francescana, San Francesco e San Bonaventura in particolare, difenda quello che chiamo l’esemplarismo cioè l’idea che ci sia molto da apprendere dalle immagini, dalla liturgia e dalla vita religiosa».
Può fare un esempio? «Per comprendere l’incarnazione il presepe gioca un ruolo importante. L’esemplarismo relativizza il ruolo del discorso proprio del razionalismo e tende a privilegiare il senso. È questo sensualismo che serve da cemento alla comunità ecclesiale».
Cosa intende per comunità ecclesiale? «La liturgia riconosce l’importanza del rituale che non bisogna necessariamente comprendere ma vivere. E cosa sono i rituali se non una drammaturgia dei corpi individuali incastonati nel corpo collettivo? E questa liturgia, che etimologicamente significa l’azione del popolo, è ciò che la teologia chiama corpo mistico, prefigurazione del corpo glorioso che apparirà alla fine dei tempi».
Le sembrerà banale ma mi sfugge quale rapporto corra tra silenzio e religione? «Il legame tra silenzio, religione e mistero comunitario è un legame fondante. Bisogna ricordare che il mito, il mistero è ciò che unisce tra loro degli iniziati. Non è necessario che l’unione si esprima con le parole, ma con un vissuto condiviso. Il silenzio è uno degli elementi strutturanti l’amore e dunque anche il legame comunitario».
Può dirlo con altre parole? «C’è comunione a partire da ciò che non si dice ma che si vive insieme. La tradizione monastica ne è un esempio. E sembra rinascere nell’ordo amorispostmoderno. Ora quello che conta è l’essere legato all’altro. Ecco l’origine di ogni religione nel senso di legare. Con la fine del moderno il legame con gli altri diventa costitutivo della persona che prenderà il posto dell’individuo moderno ».