A15 anni, studente a Cambridge, si lasciò andare a un gesto dissacratorio
e fieramente anti-religioso: bruciò in pubblico una Bibbia. Da giovane
divenne trotzkista e quindi ardente sostenitore del comunismo di stretta
osservanza sovietica. In seguito, alcune esperienze di vita e determinati
passaggi storici lo hanno ricondotto alla fede cristiana. Peter Hitchens,
giornalista e saggista inglese, ha sempre vissuto il riflesso della notorietà
del più celebre fratello Christopher (1949-2011), l'irriverente editorialista
e critico letterario per «Vanity Fair» e diverse testate anglo-americane,
fenomeno mediatico grazie al suo Dio non è grande. Come la religione avvelena
ogni cosa (Einaudi). Libro che ha reso Hitchens senior uno della "sacra
triade" del "nuovo ateismo" (in compagnia di Richard Dawkins e Daniel Dennett).
Peter racconta qui il suo ritorno al cristianesimo e il rapporto con il
fratello "neo-ateo".
Dall'ateismo giovanile alla fede in età matura. Come
è avvenuto questo suo passaggio?
«Posso rispondere in modo breve e "leggero".
Sono diventato adulto attraverso il normale processo con cui gli uomini
erano soliti diventarlo prima che l'adolescenza permanente diventasse la
norma. Come ho spiegato nel mio libro The Rage Against God, si è trattato
di qualcosa al contempo di normale e di molto privato. In pratica il mio
lavoro, la responsabilità, il matrimonio e l'esser diventato padre, ma
anche l'educazione artistica, letteraria e musicale, mi hanno ricondotto
alla fede. Se devo guardare al lato pratico, decisivo è stato l'incontro
con un quadro dell'artista Rogier van der Weyden, ovvero il suo polittico
del Giudizio universale. In realtà la mia non è stata una conversione normale
bensì, più semplicemente, una scelta scaturita dal timore attraverso il
potere dell'arte. Per molti anni non avevo più preso in considerazione
la possibilità che le mie azioni potessero essere giudicate. Dopo aver
visto quel quadro di van der Weyden, ho iniziato a pensare e a preoccuparmi
del fatto che mi ero sbagliato».
Dal punto di vista intellettuale lei
in gioventù è stato comunista, sostenitore dell'idea di poter cambiare
il mondo per riscattare i poveri. Perché non ha più appoggiato il comunismo?
Per il fatto di esser diventato credente o perché il comunismo non le è
più sembrato un modo giusto per rendere migliore il mondo?
«Il bolscevismo
è stato un sistema di pensiero crudele, immorale e spietato, che viene
compreso in maniera migliore da coloro che lo hanno completamente abbracciato
per un certo tempo e ora capiscono quanto fosse malvagio. Per me l'essere
stato un rivoluzionario socialista è stato un grande vantaggio perché ho
capito in dettaglio la spietatezza e la vacuità morale che sta alla base
del comunismo. La metafora migliore che mi viene è questa: avendo sofferto
per questa malattia ed essendo perciò stato ricoverato in ospedale, sono
immunizzato da tale contagio molto di più di chiunque sia stato solo vaccinato.
Tutti i movimenti comunisti e socialisti rivendicano il fatto di voler
aiutare i poveri. Ma questa è una bugia che traspare benissimo dai fatti
concreti. In realtà ogni movimento politico aiuta se stesso e l'attività
della politica è largamente idolatrica, perché comprende l'adorazione di
alcuni personaggi e l'idolatria del potere terreno. Può essere dunque in
se stessa anticristiana. Per questo motivo i cristiani dovrebbero impegnarsi
in politica anche per impedire che una tale immoralità si diffonda nel
mondo. Per tornare al comunismo: solo chi vive fuori dal mondo può sognare
una società più giusta rispetto a quella proposta all'insegna di falce
e martello. Tale società comunista in pratica è stato il sistema sociale
più accanitamente ingiusto che sia mai esistito nella storia. Al contempo
offriva privilegi ingiusti unicamente ad una ristretta nomenklatura. So
di cosa parlo perché ho vissuto in Unione sovietica durante gli ultimi
anni del comunismo e ho visto quel sistema nel suo svolgersi praticamente.
È una cosa che mi diverte sempre, ogni volta che la scopro, vedere che
esistono persone che ancora nutrono l'illusione che il comunismo fosse
un sistema di vita sociale giusto».
Il sottotitolo del suo libro racconta
«come l'ateismo mi ha condotto alla fede». Lei è diventato cristiano perché
il comunismo fu una delusione o a causa della sua ricerca personale che
le ha fatto incontrare Dio?
«Questo sottotitolo mi è stato suggerito dall'editore
americano del mio libro e io al momento non ebbi nessun motivo per obiettare.
Anche perché è stata proprio l'esperienza della vacuità di un mondo senza
Dio ciò che mi ha realmente condotto alla fede. Credere, oggi, mi sembra
qualcosa di ovvio, qualcosa su cui non si dovrebbe fare polemica. Quel
sottotitolo comunque non compare nell'edizione inglese e non è stato scelto
da me. In ogni caso, io sono diventato cristiano (o meglio, sono ritornato
al cristianesimo) perché ho scelto di credere che l'universo è retto da
un ordine ed ha un senso».
Nel riscoprire la sua fede d'infanzia, quale
aspetto del cristianesimo ha arricchito maggiormente la sua vita?
«Il
convincimento che esiste qualcosa che è assolutamente giusto e altro che
è decisamente sbagliato. E anche il fatto che il bene esiste veramente.
E da ciò la conseguenza che le leggi esistono per porsi di fronte al potere
umano e contenerlo. Inoltre, la convinzione che nella poesia, nella pittura,
scultura, musica e architettura noi possiamo trovare la bellezza assoluta».
Dialogare con lei ci porta necessariamente ad affrontare la figura di
suo fratello Christopher, "paladino" del Nuovo Ateismo, fustigatore virulento
di ogni religione, in particolare del cristianesimo e dell'islam. Come
mai, a suo giudizio, l'ateismo di Christopher era sbagliato?
«Quando si
parla di Dio è difficile poter dire che una persona sia nel giusto e un'altra
invece sbaglia. Noi non possiamo sapere se Dio esiste o se non esiste.
Io penso che, come molti atei moderni, Christopher detestasse Dio e non
che lo misconoscesse. Questo detestarlo con forza lo portava ad esprimere
le sue opinioni in modo virulento. Inoltre, come molti altri sostenitori
dell'ateismo nell'era moderna, egli non poteva capire il semplice fatto
che, senza un convergere comune su un bene assoluto (posizione che può
discendere solo da una visione teistica sull'universo) non possa esistere
una moralità. Christopher era stranamente disinteressato a quel puzzle
che è la coscienza. E confondeva l'attaccare varie religioni con il prendere
di mira l'idea di teismo. La scelta del teismo, ovvero l'affermazione che
l'universo è il centro dell'argomento di fede, precede la scelta di una
particolare religione. Nel criticare e farsi gioco di alcune religioni
particolari, per quanto fosse un gioco divertente, egli non prendeva di
mira l'assillante possibilità se ci possa essere veramente un Dio».
Christopher,
l'autore del sarcastico Dio non è grande, è rimasto un ateo granitico fino
alla sua morte?
«Tutti gli uomini sono aperti alla possibilità di Dio,
fino alla fine della loro vita. E non vedo motivi per credere che mio fratello
Christopher fosse un'eccezione. Egli tendeva ad esacerbare la sua ostilità
verso la religione quando si trovava di fronte a un pubblico numeroso e
che lo adorava. In occasioni di più basso profilo diventava più sfumato
nelle sue affermazioni. In un'intervista al "Guardian" riconobbe che "c'è
una cosa che soprattutto crea una distanza tra me e chiunque altro, ovvero
semplicemente il credere nel soprannaturale. Potrebbe trattarsi di una
mancanza di immaginazione da parte mia. Se così fosse, è fuor di dubbio
che sentirei un senso di mancanza"».