mercoledì 15 giugno 2016
Hoffmann, il romantico che batte Freud sui sogni
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Due secoli fa, nel 1816, uscivano i Racconti notturnidi Ernesto Teodoro Amedeo Hoffmann, esponente geniale e bizzarro del romanticismo, scrittore, compositore, pittore e giurista, noto soprattutto per la sua narrativa, il cui tratto più originale è l’introduzione nelle normali situazioni quotidiane di elementi fantastici e soprannaturali: sdoppiamento della coscienza, telepatia, follia, magia e occultismo.  Nei primi decenni dell’Ottocento questi temi esoterici e inquietanti erano largamente coltivati: non dimentichiamo che proprio nel 1816 Mary Shelley concepisce il suo Frankenstein, ovvero il moderno Prometeo e John Polidori il suo Vampiro. Nei Racconti notturni si assiste all’angosciosa disgregazione della realtà, che trapassa in un mondo assurdo e grottesco. Come dice Ladislao Mittner, in Hoffmann «il rapporto tra l’entusiasmo e la follia, fra il sogno e la smorfia, più che poetico, cioè spontaneo, è deliberatamente provocato; provocato con grandissima abilità. L’alternarsi capriccioso, rapidissimo, spesso quasi inavvertibile, del sogno e della realtà distrugge questa e quello; conseguenza ne è il vuoto, unico vero esito artistico dell’opera hoffmanniana».  I Racconti notturni furono preceduti e seguiti da molte altre opere, in cui l’autore diede libero sfogo alla sua fervida e tumultuosa fantasia, che tuttavia era ancorata a profonde intuizioni psicologiche. Italo Calvino scrisse che la scoperta dell’inconscio avvenne «nella letteratura romantica fantastica, quasi cent’anni prima che ne fosse data una definizione teorica». A Hoffmann si ispirarono molti scrittori, da Stevenson a Poe, da Dostoevskij a Gogol. Anche la musica, passione straripante del nostro, gli deve molto: non solo per le sue composizioni, ma anche per l’influenza esercitata su altri musicisti, in particolare su Jacques Offenbach. Hoffmann nacque nel 1776 a Königsberg, nella Prussia orientale, e morì ancora piuttosto giovane a Berlino nel 1822. Aveva ereditato dal padre, pastore luterano e giurista, una forte attitudine artistica e dalla madre, ipersensibile e soggetta a depressioni, un carattere incline al fantastico e al visionario. Dopo la precoce separazione dei genitori, visse con la soffocante famiglia materna, in un clima cupo e bigotto che lascerà nel bambino un’impronta indelebile. Conseguita la laurea in legge, intraprese una carriera di funzionario in Germania e poi a Varsavia. Irrequieto e sognatore, fervido lettore, s’interessò di disegno e di medicina, e, in modo professionale, di musica. Nel 1809 pubblicò il suo primo racconto fantastico ( Il cavalier Gluck), seguito da molti altri in cui si riflettono i traumi psichici della sua infanzia ( Racconti fantastici alla maniera di Callot) e il suo interesse per l’occultismo e l’ipnotismo ( Gli elisir del diavolo). Perseguitato dal timore di diventare pazzo, Hoffmann approfondì l’argomento della follia studiando i ricoverati nel manicomio di Bamberga e le persone che incontrava grazie al suo lavoro di consigliere giudiziario a Berlino. Sempre sull’orlo dello squilibrio, in lui si dissolveva di continuo il confine tra sogno e realtà: tipico in questo senso è L’uomo della sabbia, il più famoso dei Racconti notturni, nel quale il giovane Nataniele, anch’egli come lo scrittore segnato precocemente da incubi e terrori infantili, s’innamora perdutamente di Olimpia. Ma Olimpia è una bambola meccanica di cui Nataniele non riesce a scorgere la vera natura, nonostante le tante prove che agli occhi degli altri sono evidenti. Fin dalle prime righe si respira un’atmosfera orrorifica, fomentata dagli aggettivi (spaventoso, orribile, minaccioso) disposti in un crescendo magistrale che allude alla pazzia, alla magia, agli spettri e che prelude alla tragedia: quando scopre la verità, Nataniele si ammala e poi, in una crisi di follia, si precipita da una torre. Già questi pochi cenni possono spiegare il grande interesse che L’uomo della sabbia suscitò in due studiosi vissuti cent’anni dopo. Nel 1906 lo psichiatra tedesco Ernst Jentsch (18671919) pubblicò il saggio Sulla psicologia del perturbante, in cui afferma che il minaccioso, l’angoscioso, il perturbante ( Unheimlich), scaturisce dall’incertezza che si prova di fronte a certe entità o in certe situazioni. Secondo Jentsch, tra tutte le incertezze che possono generare un senso di perturbante, ve n’è una in grado di produrre «un effetto regolare, potente e generale, cioè il dubbio se un essere apparentemente vivo sia davvero animato e, viceversa, il dubbio se un oggetto che sembra privo di vita possa in realtà essere animato ». Jentsch indica in Hoffmann un narratore che ha impiegato questo artificio psicologico con notevole abilità, in particolare nell’Uomo della sabbia, dove il lettore viene tenuto sapientemente in uno stato di indecisione sulla vera natura dell’automa Olimpia.  Anche il fondatore della psicoanalisi, Sigmund Freud (1856-1939), s’interessò a questo racconto. Nel saggio del 1919 Das Unheimliche, Freud si richiama esplicitamente al lavoro di Jentsch, ma trova limitata la sua interpretazione del perturbante fondata sull’incertezza, e preferisce la definizione del filosofo Friedrich Schelling (1775-1854): si dice heimlich ciò che dovrebbe restar nascosto e che invece è affiorato. C’è dunque un chiaro legame tra il perturbante, il sinistro, l’angoscioso e il meccanismo psicoanalitico della rimozione.  Il perturbante si manifesta quando il confine tra fantasia e realtà si intorbida e quando ciò che era considerato fantastico si presenta nella realtà: ciò accade nelle pratiche magiche, ma anche in quell’oscuro reame della meccanica onirica in cui vivevano gli automi descritti da Hoffmann, automi a quell’epoca realmente costruiti da abilissimi artigiani e che, già molto prima dell’avvento dei robot moderni, incarnavano, con esiti goffi e vagamente minacciosi, l’antico sogno di costruire l’uomo artificiale, tentando di imitare l’opera creatrice di Dio.
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