venerdì 26 agosto 2016
Dom Luciano, il «santo» delle favelas
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Un contemplativo nell’azione, simile, per dolcezza e soavità, a uno dei primi compagni di Ignazio di Loyola, il savoiardo Pierre Favre, ma anche un uomo sempre chino sul dramma degli ultimi, i diseredati del suo immenso Paese, il Brasile, in particolare i bambini di strada; o ancora, il “semplice” gesuita, come amava lui stesso ripetere, «divenuto vescovo per seguire i poveri ». Una figura che nel giorno della sua morte, il 27 agosto di dieci anni fa, il cardinale Carlo Maria Martini  ha definito con queste parole: «Veramente un santo, un uomo che ha vissuto con carità eroica, senza pensare mai a sé, sempre pensando agli altri».  È la parabola che ha contraddistinto l’azione di dom Luciano Mendes de Almeida (1930-2006), arcivescovo di Mariana nello stato del Minas Gerais e soprattutto il carismatico leader, per tanti mandati, della Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile (Cnbb), nella veste prima di segretario (1979-1987) e poi di presidente (1987-1995). Dom Luciano è ancora oggi ricordato per il suo cruciale ruolo di mediazione nel 1992 nella stesura del documento finale della IV Conferenza del Consiglio episcopale latino americano (Celam) di Santo Domingo. Dal 2011, su spinta dell’episcopato brasiliano, è stata avviata la causa di beatificazione di questa figura di primo piano della Chiesa latino-americana, simile per molti aspetti al leggendario arcivescovo di Recife Hélder Câmara, di cui era fraterno amico.  Ma chi era quest’«uomo, piccolo, calmo, buono, arguto, attento ai poveri e ai soli» come ebbe a definirlo un personaggio non certo sospettabile di simpatie verso il mondo cattolico come Adriano Sofri? Luciano Pedro Mendes de Almeida nasce il 5 ottobre del 1930 a Rio de Janeiro da una nobile e potente famiglia carioca. A 17 anni entra nella Compagnia di Gesù. Ed è proprio durante la sua prima esperienza degli Esercizi Spirituali che si manifestano i tratti salienti del sua futura vocazione: «Entrò come un giovane ricco – fu la testimonianza del connovizio José Carlos Brandi Aleixo – e uscì come un giovane povero ». Prosegue i suoi studi teologici-filosofici a Nova Friburgo (Brasile). Nel 1958 è ordinato sacerdote. Fondamentale è per padre Luciano la destinazione a Roma dove alla Gregoriana consegue nel 1965 il dottorato in filosofia sul tema:  L’imperfezione intellettiva dello spirito umano. Introduzione a una teoria tomista della conoscenza dell’altro. A guidarlo nella discussione della tesi è il gesuita francese Joseph de Finance. Ma sono sempre i poveri a interpellare la sua coscienza di futuro professore, innamorato della mistica di san Giovanni della Croce. A Roma dedica il suo tempo libero alla visita agli ammalati o ai ragazzi con storie difficili, come quelli ospitati all’istituto per correzione dei minorenni “Gabelli” di Porta Portese. Tornato in patria viene destinato all’insegnamento nei vari istituti universitari della Compagnia di Gesù.  Nel 1973 l’allora preposito generale Pedro Arrupe  lo nomina delegato interprovinciale dei gesuiti del Brasile e l’anno successivo partecipa alla XXXII Congregazione generale della Compagnia di Gesù a Roma: con lui siederanno in quella assise destinata a cambiare il volto missionario dell’antico ordine altri due ignaziani destinati ad avere un ruolo non marginale all’interno della Chiesa Cattolica: Carlo Maria Martini e Jorge Mario Bergoglio.  Ma è nel 1976 che arriva la svolta inaspettata per l’esistenza di padre Luciano: su suggerimento dell’arcivescovo di San Paolo, il cardinale francescano Paulo Evaristo Arns, Paolo VI lo nomina ausiliare della città. Da quel momento si spenderà per aiutare i ragazzi di strada e le persone indigenti delle favelas: a lui si devono le più importanti intuizioni nella arcidiocesi paulista per una autentica «pastorale dei minori ». «Il minore non è un problema – sarà il suo slogan – il minore è una soluzione». Una campagna e un’azione a favore dei minori, la sua, che spingerà l’Unicef (organo dell’Onu per la protezione dell’infanzia) nel 1986 ad assegnare al giovane vescovo il premio “Bambino e pace”. Si deve sempre a lui la creazione della prima rete cattolica televisiva del Brasile, Rede Vida. Per tutto questo e in particolare per il suo legame con la gente umile la cosmopolita città di San Paolo ha voluto dedicare, dopo la sua morte, uno dei ponti a dom Luciano.  Da giovane vescovo ausiliare di San Paolo, a nome dell’episcopato brasiliano, presenzia ai funerali nel marzo del 1980 in Salvador dell’arcivescovo Óscar Arnulfo Romero. Certamente fuori dai canoni della semplice amicizia è la collaborazione nata nel 1988 con Ernesto Olivero il fondatore del Sermig (Servizio Missionario Giovani), l’associazione sorta a Torino per promuovere la giustizia e lo sviluppo nel mondo mediante la partecipazione attiva dei giovani. E proprio questa particolare «sinergia di amicizia e di intenti» con Olivero ha oggi reso possibile la creazione, a San Paolo, dell’“Arsenale della speranza”, dove gli abitanti delle strade trovano rifugio e assistenza. Alla figura di Mendes de Almeida «un Francesco d’Assisi per la sua bontà e un filosofo come Platone per il suo sapere» Olivero recentemente ha dedicato il libro I due amici (Priuli & Verlucca 2014) per rievocare i tratti più profetici dell’amico gesuita. Sempre nel 1988 Mendes viene nominato da Giovanni Paolo II arcivescovo di Mariana, diocesi in cui, “In nome di Gesù” (il suo motto episcopale) si donerà completamente per diciotto anni e tre mesi. Il 23 febbraio 1990 un drammatico incidente stradale segnò la sua esistenza: sopravvisse, ma riportò 27 fratture, che lo portarono a subire ben 27 interventi chirurgici. Da allora iniziò il suo lungo calvario vissuto in silenzio e in continua simpatia con i suoi poveri, che lo condusse all’incontro con sorella morte la domenica del 27 agosto 2006. Pochi mesi prima della sua scomparsa «l’uomo della carità» come lo definì il suo successore sulla cattedra episcopale di Mariana dom Geraldo Lyrio Rocha  gli venne conferito il dottorato honoris causa dalla Facoltà gesuitica di filosofia e teologia (Faje) di Belo Horizonte: «Per lui sarebbe stato più adatto il titolo - fu il commento del grande teologo João Batista Libânio -, di magister amoris causa, cioè maestro intellettuale e spirituale, a causa dell’amore e del servizio. Egli fu veramente per noi un maestro della Chiesa e della vita, specialmente dei poveri».
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