Il più impossibile degli amori Giovanni Boine l’aveva già descritto in un romanzo,
Il peccato, scritto in poche settimane nell’inverno del 1913 dentro il sanatorio di Davos, lo stesso che avrebbe ispirato
La montagna magica di Thomas Mann. Ma la sua era stata una storia diversa, a ritroso, recuperata dal frangente in cui una personale topografia e gli spasimi di un figlio del secolo (malato di tubercolosi, senza un lavoro stabile, indocile e inquieto) si incrociavano fino alla fisica lacerazione. Ambientato a Porto Maurizio, tra la marina, gli ulivi e i muri a secco,
Il peccato raccontava la vicenda vistosamente autobiografica del ragazzo che ogni giorno saliva al Carmelo per ascoltare l’armonium da cui provenivano, nel silenzio costernato di una chiesa deserta, cantate di Bach e Monteverdi. Le eseguiva una giovane suora, per lui senza corpo né volto, una presenza dileguante e però carica di una promessa (un sogno di quiete, di riconciliazione spirituale) che gli faceva presagire finalmente l’esito del proprio romanzo. Boine era
l’enfant du siècle che si era infatti autodefinito come 'un caos in travaglio': autore frammentario (la raccolta delle sue poesie in prosa, amatissime da Gianfranco Contini, si sarebbe intitolata
Frantumi), critico militante sulle pagine della
Riviera ligure come della allora celeberrima
Voce, si era formato a Milano nel clima di un fervido rinnovamento religioso, molto prossimo a quella che era considerata l’eresia modernista, bollata da Pio X, con coloro che sarebbero rimasti gli interlocutori della sua vita troppo breve, da Clemente Rebora ad Alessandro Casati e Tommaso Gallarati Scotti. Del resto l’amore vagheggiato in musica, nella penombra del Carmelo, era il risvolto esatto di una vita sentimentalmente sbandata, fatta di rapporti occasionali e non meno brucianti: se tutti sapevano, a Porto Maurizio, del suo legame scandaloso con una donna del popolo, per giunta separata e madre di una bambina ( « non è Madame de Stael né la signora di Condorcet», sembrava giustificarsene lo scrittore), erano altrettanto note le relazioni, brevi e rovinose, che aveva intrattenuto con Eva Kuhn, la consorte di Giovanni Amendola, e con Sibilla Aleramo che avrebbe successivamente travisato quell’incontro nel romanzo
Il frustino (1932). Ma la vita per Boine era appunto fame di vita, la ricerca di una pienezza esistenziale sempre frustrata mentre la sua religiosità era mistica e coincideva con un’ansia di assolutezza senza residui. Come fosse una fortuita appendice a
Il peccato, lo rivela l’ultimo dei suoi amori, il più impossibile e il più fatalmente improbabile, quello con Adelaide Coari ora documentato nel
Carteggio 1915-1917 (Città del silenzio, pagine 270, euro 25.00) a cura ottima di Andrea Aveto, lo studioso genovese già autore di un notevole contributo,
Un capitolo della biografia di Giovanni Boine (2012), che ne è la necessaria premessa. Chi è Adelaide Coari? Maggiore di lui di sei anni (nata nel 1881, scomparsa nel 1966, gli sarebbe sopravvissuta mezzo secolo), cattolica e femminista, maestra elementare e poi dirigente della Pubblica istruzione, autrice di una monografia su Niccolò Tommaseo, sodale del futuro papa Giovanni XXIII e degli stessi amici milanesi di Boine, incontra lo scrittore ligure da volontaria del 'Comitato Soldati' a Udine nel novembre del ’15, sulla linea del fronte, dove Boine è andato a propagandare i
Discorsi militari, un libello che avrebbe presto rifiutato, gravido di nazionalismo e ingenuo bellicismo, soprattutto ignaro della realtà di ogni guerra, cioè morte, fame, cieca distruzione. Il
Carteggio, in tutto un centinaio di missive, testimonia del fatto che Adelaide ama Boine e lo comprende in ogni minima fibra spirituale mentre Boine, viceversa, non può che lasciarsene amare, più di sempre confuso, irresoluto. In altri termini, Adelaide è l’assolutezza da lui bramata e però, ai suoi occhi, è come non avesse corpo. Le lettere residue di Giovanni sono di una brevità nervosa, accidentale, quelle di Adelaide molto più estese, calde. Da un lato c’è sempre un’implicita dichiarazione d’amore, come nella lettera dell’8 dicembre 1915: «Ho fatto male a dirti che ti voglio bene? Ma come, quando te lo dissi? È stata così imprevista la mia entrata in situazione! Non ebbi il tempo di riflettere […] mi strappò dall’animo ciò che doveva stare nell’intimo. E volevo anch’io tacere - se avessi taciuto non avrei scritto la prima lettera»; dall’altro, c’è una sequenza ininterrotta di dissimulazioni, di silenzi e virtuali allontanamenti, come di colui che sa ricevere amore, anzi lo brama, ma non può permettersi di offrirne e, alla fine, pare espressamente vietarselo, come nella lettera di Giovanni datata 7 giugno 1916: «Ti dico delle cose semplici con occhio obiettivo e, credi, non da borghese chiuso. Se ne vuoi da fratello e che dunque ti piglia più di quel che ti dà, eccotene». Si vedono di rado, ed è lei a volerlo, continuano a parlarsi da lontano, Adelaide persa fra i mille impegni dei suoi comitati (di fatto è la vicaria del famoso padre Semeria, cappellano militare, grande predicatore), Giovanni chiuso nella casa in riva al mare di Porto Maurizio, indeciso fra i troppi manoscritti inconclusi, ormai stremato dalla malattia. Boine muore appena trentenne in un’alba livida, il 16 maggio del ’17, quando Adelaide è accorsa, per un’ultima volta, al suo capezzale. Le aveva scritto poco più di un mese prima la pagina che, se letta in retrospettiva, ha il valore sia di un ennesimo autoritratto sia di un testamento: «Quanto alla prima lettera è un’altra cosa. Te la ridarò perché tu la rilegga quando ti senti smarrita. Se io t’ho servito a tanto, allora voglimi bene che è giusto. Ma tu leggevi l’Imitazione prima di conoscermi, e dunque, che il segno di Dio è dentro, lo sapevi già […] Che cosa sono io, amica? Un abbozzo informe ancora, tutto sgorbi e prove di un’antica
Imitazione in veste di moderno scetticismo». Si deve ad Adelaide Coari il salvataggio di documenti e carte di Boine nonché un quaderno di appunti decisivo per la ricostruzione della biografia dello scrittore. Non le si conoscono altri amori nei cinquant’anni in cui gli sopravvive. Il doppio o l’erede della giovane suora che lo aveva incantato all’armonium da ragazzo era lei, ma lui non lo sapeva o, forse, non aveva mai voluto saperlo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Si deve alla donna, alla morte di Giovanni nel 1917, il salvataggio di documenti che risulteranno essenziali per la redazione della sua biografia. La Coari muore 50 anni dopo, sempre fedele a quella giovanile relazione mai davvero compiuta
Carteggio Lui irrequieto, indeciso, malato. Lei femminista, attivista cattolica, innamorata. Si incontrano nel 1915 al fronte, dove lo scrittore propagandava un suo libro interventista EPISTOLARIO A fianco Adelaide Coari (1881 - 1966). Sotto Giovanni Boine (1887 - 1917). La storia e l’amore impossibile tra la femminista cattolica e lo scrittore rivivono ora nel carteggio pubblicato da Città del silenzio.