lunedì 19 settembre 2011
​Proposta del tavolo tecnico delle Regioni. Solo tre mesi fa il Veneto ha concesso il rimborso ai trattamenti fino ai 50 anni, decisione contestata dalla Federazione delle società scientifiche della riproduzione.
Salerno, a 57 anni diventa mamma di due gemelline
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Si torna a dibattere sull’età di accesso alla fecondazione assistita proprio mentre la vicenda della bimba tolta ai genitori dal tribunale per i minorenni di Torino ha fatto parlare di mamme-nonne. È infatti al lavoro da alcuni mesi un tavolo tecnico dove si stanno definendo le proposte per regolare in modo il più possibile unitario, fatte salve le prerogative delle Regioni, l’accesso alle tecniche di fecondazione assistita e i limiti dei costi a carico del Servizio sanitario pubblico. Il tavolo tecnico, organizzato nell’ambito della Conferenza delle Regioni e presieduto dall’andrologo Carlo Foresta (docente dall’Università di Padova e direttore del Centro di crioconservazione dei gameti maschili dello stesso ateneo), ha prodotto un documento che indica nei 43 anni il limite di accesso per una donna alle tecniche di fecondazione assistita. «Il tavolo tecnico – spiega Foresta – ha il compito di analizzare le problematiche e di proporle alla Conferenza Stato-Regioni» che potrà farle proprie e renderle esecutive. Ogni Regione ha i suoi rappresentanti in questo tavolo tecnico che è stato organizzato presso la commissione Salute, coordinata dall’assessore veneto alla Sanità Luca Coletto. «Ora ci stiamo occupando di questioni tecnico-organizzative – aggiunge Foresta – perché ci sono molte differenze tra le Regioni su come catalogare le attività della fecondazione assistita». Un vivace dibattito si era acceso solo tre mesi fa, quando la Regione Veneto aveva stabilito di concedere l’accesso (a carico del Servizio sanitario) alle tecniche di fecondazione assistita alle donne fino all’età di 50 anni. «Una decisione – osserva Foresta – dettata da considerazioni di carattere sociale-umanitario, non tecnico-scientifica, ma basata anche sull’osservazione che, secondo i dati Istat, ogni anno in Italia nascono 1200 bambini da mamme di età compresa tra 45 e 50 anni». Ma la decisione della Regione Veneto era stata contestata dalla Federazione italiana delle Società scientifiche della Riproduzione (Fissr), parlando di «atteggiamento demagogico» e facendo riferimento alle risorse del Servizio sanitario: «Il costo per ogni bimbo nato da un donna di 45 anni risulta oscillare tra i 600mila e i 700mila euro». L’origine delle incertezze è in parte nella stessa legge 40 che concede l’accesso alle tecniche alle coppie in età potenzialmente fertile: una definizione che per le donne significa presenza del ciclo mestruale, mentre per i ginecologi la fecondità è ormai ridotta al lumicino già alcuni anni prima dell’effettiva menopausa. Si pone evidentemente un problema di appropriatezza e di corretta allocazione delle risorse del Servizio sanitario. I prossimi argomenti al centro dell’attenzione del tavolo tecnico interregionale sono non meno cruciali: si tratta di definire un atteggiamento comune per quel che riguarda sia le tariffe di rimborso per le strutture (in Piemonte sono state abbassate mettendo in difficoltà i centri privati), sia il limite di trattamenti rimborsabili per ciascuna paziente. Finora l’Aifa ha stabilito solo una dose massimale del farmaco necessario alla stimolazione ovarica, ma i controlli non sono sempre efficaci. Tutti temi che chiamano in causa il rapporto costo-beneficio in un’epoca di risorse limitate.
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