Fare rete, anzi costruire un sistema per coordinare e rendere più efficace la presenza della
Chiesa e della
cooperazione cattolica in
Iraq e in
Siria. È un tavolo aperto, quello inaugurato al convegno «
Iraq e Siria: non lasciamoli soli» all’
Università cattolica di Milano, a chi nella società italiana non vuole arrendersi all’inadeguatezza delle risposte della comunità internazionale mentre è in corso la peggiore emergenza del nuovo millennio.
Sono le
cifre del
disastro umanitario a dare il senso della scommessa a cui si è di fronte:
un milione di profughi nel
Kurdistan iracheno dall’agosto del 2014, altri
due milioni nel resto dell’Iraq, mentre sono ben
11 milioni, tra sfollati interni e profughi, quelli provenienti dalla
Siria. Intanto anche l’
Onu, dopo 5 anni di guerra civile, attesta oltre
400mila vittime nel conflitto civile siriano nei giorni in cui si parla di Aleppo come di una «nuova Sarajevo».
Una
Chiesa italiana, ha ricordato il
direttore della Caritas italiana don Francesco Soddu aprendo i lavori della mattinata, che subito si è attivata con la rete della Caritas nazionali locali, ma che ha voluto «essere concretamente presente per due volte con delegazioni guidate dal
segretario generale della Cei Nunzio Galantino per testimoniare una solidarietà personale».
Un impegno che, grazie ai
fondi dell’8 per mille e alle
parrocchie, ha consentito l’anno scorso interventi per quasi
4 milioni di euro e sono già in atto
quest’anno progetti per 500mila euro. Un apporto decisivo in un’area al «collasso» dopo il disinteresse degli Usa dall’area, perché «non si rompa il legame fra le comunità cristiane e il Medio Oriente», unico fattore di stabilità per tutta la regione ha sottolineato
Riccardo Redaelli, docente di geopolitica nell’ateneo milanese. Difficile, dunque, immaginare soluzioni politiche a breve termine, anche se il primo banco di prova concreto potrebbe essere in una «
futura liberazione di Mosul lo spazio che verrà effettivamente dato al rientro delle minoranze».
Questo mentre negli ultimi decenni, ha affermato il
direttore di Avvenire Marco Tarquinio, abbiamo assistito alla «
sistematica distruzione di tutti i luoghi di convivenza» e per questo «ci sentiamo di portare gli
uomini della cultura e della carità allo stesso tavolo, chiamando idealmente anche la politica a uno spazio di reclutazione».
La sfida, di fronte a una «politica assassina» è invece di «stare accanto» a chi è vittima e perseguitato, sapendo che nella società italiana esiste «
un partito dell’accoglienza», come nella Chiesa un «
ecumenismo della carità».
La prova è quella popolazione «silenziosa ed operosa, ma che crede nella solidarietà» come valore ed è disposta ad investire in essa sia in termini economici che culturali, ha osservato
il presidente della Focsiv Gianfranco Cattai. La prova sta nel “
Progetto Emergenza” Kurdistan, promossa da
Focsiv con
Avvenire, che ha raccolto in due anni,
508mila euro raccogliendo più di 2mila donatori.
Ad essi si devono aggiungere
327mila euro raccolti da
Famiglia Cristiana e oltre
200mila euro giunti con i fondi dell’8 per mille. Questa la base – capace di realizzare
6mila interventi in tutto il 2015 – da cui iniziare a progettare, oltre la prima emergenza. Con
Focsiv, al tavolo, anche
Avsi,
Sant’Egidio, e il
Centro sportivo italiano. Una rete capace già ora di realizzare, in
Iraq,
Siria,
Libano e
Giordania oltre
50mila interventi, con diverse professionalità spesso complementari. Un nuovo capitolo è poi quello dei
corridoi umanitari, in grado di assicurare «sicurezza per chi viaggia e per chi accoglie» grazie a una identificazione dei soggetti in situazione di vulnerabilità. Un progetto che «potrebbe essere replicato in Italia e in altri Paesi europei», auspica
Cesare Zucconi della comunità di
Sant’Egidio.
«Fare l’impossibile è un imperativo», conclude il presidente Focsiv Gianfranco Cattai. Una impresa chiamata solidarietà, nuovo volto della
geopolitica della misericordia.