venerdì 31 maggio 2013
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Riformare i Cie e rivedere tutta la normativa sull’immigrazione alla luce dell’inclusione. Per monsignor Giancarlo Perego, direttore della Migrantes, le analisi dei ricercatori colpiscono per vari aspetti.«Anzitutto perché i rimpatri sono stati pochi e poi perché le sanatorie dimostrano che i numeri degli irregolari presenti sul territorio sono sempre alti e le espulsioni e i rimpatri sono stati pochi, nemmeno 80 mila a fronte di un miliardo e 600 milioni di spesa pubblica. Quindi la gestione dell’immigrazione solo attraverso politiche securitarie si è rivelata troppo costosa e in defintiva fallimentare. Occorre davvero cambiare rotta, bisogna ragionare in termini di accoglienza e inclusione degli immigrati: forse ci costerebbe meno e sarebbe più produttivo. Ritorno a quelle che furono le conclusioni della Commissione De Mistura nel 2007, cambiare la legge Bossi-Fini. Mi pare che oggi ci sia maggiore serenità e questi tempi di crisi paradossalmente possono aiutare la politica a rivedere l’intero sistema dell’immigrazione evitando questi sprechi. Serve una riforma». Anche sui Cie monsignor Perego condivide le critiche di Lunaria, presentate già da diversi soggetti della società civile che ne chiedono la chiusura o il superamento.«Anche in questo campo i costi presentati dal rapporto sono troppo elevati rispetto a quelli che sarebbero i risultati. Stiamo parlando di un miliardo per tutti i tipi di centri che accolgono i migranti. Il periodo di detenzione così lungo nei Cie e le stesse condizioni di vita in cui si trovano i migranti nei centri e che hanno provocato tensioni, sono stati oggetto di osservazioni critiche da parte dell’Europa perché i tempi massimi di permanenza non possono superare i 30 giorni. Sono passati ormai 15 anni da quando vennero istituiti e mi sembra che si veda. Allora a mio avviso è tempo di superare i Cie, trovando forme di accoglienza più dignitose in altri tipi di centri e soprattutto prevedendo tempi molto più rapidi di permanenza degli ospiti con il rimpatrio di quelle categorie che non hanno effettivamente diritto di restare in Italia. Serve davvero un cambio di rotta e lo studio dimostra che è tempo di agire».Anche padre Giovanni La Manna, gesuita e direttore del Centro Astalli di Roma, da anni sostiene la necessità di chiudere i Cie e di rivedere tutte le politiche di accoglienza.«Chiudere i Cie? Siamo in ritardo. Non è possibile concettualmente rinchiudere per mesi una persona perché priva di documenti. Magari è un potenziale richiedente asilo. E poi quanto ci mettiamo a identificarlo e a rispedirlo a casa? Logico che si creino tensioni e frustrazioni». Padre La Manna aggiunge al computo dei costi anche i soldi spesi per addestrare i libici al respingimento dei migranti e quelli per costruire centri di detenzioni in Libia.«Facciamo il lavoro sporco per l’Ue che con il sistema dei respingimenti di potenziali e dei centri di espulsione ha azzerato il diritto di asilo e la Convenzione Onu sui rifugiati del 1951 . Più in generale servirebbe che l’Italia adottasse un sistema unico per i rifugiati. C’è lo Sprar, il sistema dei comuni, che arriva a stento a 4000 posti, mentre con l’Emergenza Nordafrica, quella che doveva portare uno tsunami umano, è stato creato un sistema parallelo che ha portato nelle tasche di chi gestiva ostelli e alberghi 46 euro a persona al giorno. Sono soldi dei contribuenti che vengono sprecati. Era meglio darli ai migranti direttamente. E se con l’estate cominciassero gli sbarchi a Lampedusa, vedrete che grideremo ancora all’emergenza. Il governo tecnico aveva intenzione di migliorare i Cie. Non basta imbiancarli, bisogna chiuderli perché sono inutili e costosi e oggi la politica dovrebbe seriamente rivedere un sistema che spesso porta a lucrare sulla vita dei migranti».
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