«Ciao, quanti anni hai?». Inizia così la chat in lingua inglese tra l’uomo, 35 anni, e la sua piccola vittima, una bambina filippina di 10 anni. Il predatore si aggirava sul web come un rapace e ora ha adocchiato la preda. «Dieci anni? Mmmmmm, mi piace... la stessa età di mia figlia», risponde lui. Ma questo non lo ferma, anzi, «Fai prestazioni davanti alla webcam? Quanto costi un quarto d’ora nuda?»... Tutto nero su bianco, nei faldoni che l’associazione Terre des Hommes ha consegnato all’Interpol. La bimba-esca è virtuale, ma nessuno se ne accorge (è stata costruita da esperti informatici per sembrare in carne ed ossa), e la cosa agghiacciante è che in un’ora è stata adescata da 700mila pedofili di tutto il mondo. Il suo nome è dolce come i suoi occhioni orientali – si chiama Sweetie – ma da marzo 2016 sarà operativa una sua sorellina virtuale più sofisticata, sempre implacabile nel rintracciare gli orchi sul web.
È solo una delle facce di una piaga ormai planetaria e in rapida espansione, quella dello sfruttamento sessuale dei bambini e delle bambine sia nella realtà che nella Rete. Due realtà strettamente legate – ammoniscono gli inquirenti – perché «dietro ogni bambino seviziato, violentato, molestato o persino ucciso nei filmati dilaganti sul web, non scordiamo che c’è sempre un bambino vero». Vero il suo pianto, vero il terrore, eppure nessuno fa nulla per mettere fine alla strage degli innocenti: 220 milioni di minori subiscono violenza ogni anno nel mondo (dati Onu), 3 milioni di piccoli schiavi sono sfruttati nella prostituzione, un giro da 100 miliardi di dollari l’anno. E i media tacciono. Perché?
Come ogni anno, Avvenire non tace e domani in edicola uscirà con quattro pagine di dossier, dure ma indispensabili. Per chiudere l’anno scuotendo le coscienze di chi può e deve cambiare le cose.
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