Scappa. Trattiene dentro urla e fiato mentre le gambe corrono via. Di notte. Non ne può più, dopo tre anni in quel centro di recupero che è anche bello, ma non è le braccia dei suoi genitori. Perché altre braccia, infami, prima, l’avevano fatta a pezzi. Vuole tornare da mamma e papà. Conta, ormai, adesso, soltanto questo. Stare con loro. Con la sua famiglia.Il passato è un chiodo nella testa, nel cuore, ferocemente piantato a fondo nella pelle. Sara (nome di fantasia,
ndr) aveva undici anni quando l’adescarono, come si dice giuridicamente, sei anni fa, nella sua città. Quando la raggirarono, plagiarono. Facile farlo con una bambina, specie per chi è infame. E ha figlie dell’età di Sara. Oppure è poco più grande di lei.Al tempo di Cristo acquistare uno schiavo costava trenta denari. Anche Sara basta pagarla poco: una ricarica per il cellulare o una banconota da dieci euro. Le hanno fatto credere che a undici anni il suo corpo è merce di scambio. Che per un <+corsivo>peluche<+tondo> si può "soddisfare" un quarantenne o un sedicenne. Neanche lei stessa sa, può ancora sapere, che è corpo di bambina. Troppo facile usarla. E la voce gira: gli infami le informazioni sanno passarsele. Diventano tanti. Padri, amici di famiglia, ragazzini.Qualcosa non è a posto, se ne accorge suo papà. Sara riceve troppi sms e troppe telefonate da troppa gente. S’insospettisce. Infine capisce ed è dolore da schiantare. Vorrebbe farsi giustizia da sé e chi potrebbe non comprenderlo. Sceglie la strada più difficile, ma l’unica giusta: denuncia.Scattano gli arresti. Ci sono "insospettabili" padri di famiglia, ci sono minorenni. E non solamente nella pelle di Sara gli infami hanno affondato i loro artigli, anche in quella di altre bambine. La storia finisce in fretta sui giornali, suscita fiammate di scalpore e indignazione, poi in fretta scompare dalle pagine dei quotidiani. Seppure qualcuno si chieda dove fosse chi aveva taciuto pur sapendo.La famiglia di Sara svende la sua attività, la sua casa, tutto quanto possiede e abbandona la città: molti uomini, amici, hanno stuprato la loro bambina. E va quasi sempre così, anche se dovrebbe essere il contrario e andarsene lontano, bruciati dalla peggiore delle vergogne, sarebbe destino da riservare invece agli infami.Non basta. Sara viene strappata alla famiglia, mandata tre anni in un centro di recupero dove si dovrebbe rinascere e spesso ce la si fa. Non lei, che ha troppi chiodi dentro e le servono mamma e papà per imparare a sopportarne il dolore. Così una notte scappa, trattenendo urla e fiato mentre le sue gambe corrono via. Torna da loro, nella nuova città.E lì lasciarono che restasse. Decidendo che Sara potesse ritrovare gli anni perduti e ricostruire se stessa nella sua famiglia, con la sua famiglia, dov’è ancora oggi.Non sono soli. Al loro fianco hanno l’"Associazione Meter", alla quale il papà si rivolse fin dall’inizio di questa storia: «Ancora tanti credono alla Chiesa e ai frutti che lo Spirito Santo produce...», dice don Fortunato Di Noto, che fondò e dirige l’AssociazioneLa storia di Sara e della sua famiglia è drammatica per tutti i suoi versi: il processo, ad esempio, va ancora avanti, e dopo diversi anni neppure s’è concluso il primo grado di giudizio, nonostante prove e riscontri schiaccianti e inconfutabili. "Meter", oltre a seguire la bambina, si è costituita parte civile e insieme con la famiglia hanno sostenuto finora trentamila euro di spese legali. Un’enormità. Una specie di beffa conseguente alla tragedia.Anche se da un po’ di tempo Sara, a dispetto dei chiodi che per divertimento le hanno spinto nella carne, è tornata qualche volta a sorridere. E a sognare.