«Questo provvedimento risponde a un’idea di famiglia tutta sociale, legata al pragmatismo quotidiano, che però dimentica totalmente l’origine della persona e la sua identità».Il professor Alberto Gambino, docente di Diritto privato all’Università europea di Roma, considera «molto grave» il recente provvedimento del governo che, oltre a consentire di cambiare il cognome o aggiungere quello della madre con una semplice domanda al prefetto, permette alle donne divorziate di dare ai propri figli anche il cognome del nuovo compagno.«Spero che si tratti di una svista e sia corretta quanto prima», aggiunge Gambino che, Codice civile alla mano, spiega la propria contrarietà alla norma varata la scorsa settimana dal Consiglio dei ministri.«Il cognome – spiega – è un tratto identificativo della persona. Il Codice civile, all’articolo 6 “Diritto al nome”, dice che “Ogni persona ha diritto al nome che le è per legge attribuito”. Ciò significa che la legge individua nel nome, che comprende anche il cognome, un tratto identitario della persona. Identità che, a sua volta, deriva dal fatto di essere stato generato».In altre parole, il padre, attribuendo il proprio cognome al figlio, gli conferisce identità soggettiva. «Ora – aggiunge Gambino – si può anche decidere di aggiungere il cognome materno perché in linea con il diritto naturale della procreazione. Ma altro è, invece, aggiungere il cognome del nuovo marito in caso di divorzio».Questa situazione, secondo l’analisi del giurista, andrebbe a intaccare proprio l’aspetto identitario del figlio della donna risposata.«A quel punto – sottolinea Gambino – il figlio si ritroverebbe il cognome di un perfetto estraneo, di un uomo con cui non ha alcun legame e dal quale, soprattutto, non è stato generato. L’identità genetica del figlio non ha infatti nulla a che fare con il nuovo marito della madre e, di conseguenza, anche il cognome di quest’uomo gli è totalmente estraneo».Se è vero che, per lo Stato, la nuova unione costituisce comunque una famiglia a tutti gli effetti e che quindi, «per motivi sociali», ragiona Gambino, si è ritenuto di dare questa possibilità, è altrettanto vero che, in caso di divorzio e nuova unione, «il figlio è legato soltanto alla madre». «Se il nuovo marito vuole un legame giuridico con il figlio della nuova moglie – aggiunge – deve a tutti gli effetti adottare il figlio di lei».Conferire semplicemente il cognome, invece, potrebbe «creare confusione nell’identificazione del figlio» e dare vita a un «vortice senza fine». «Immaginiamo che una donna divorzi e si risposi più volte. Che facciamo, continuano ad aggiungere cognomi? Mi sembra una strada che, anzichè semplificare le procedure le complica».Quando meno, ipotizza Gambino, si dovrebbe dare la possibilità al figlio di dare o meno l’assenso all’aggiunta del nuovo cognome. Anche se, ricorda il giurista, «l’identità è un diritto oggettivo, non disponibile», per cui «nessuno può decidere il proprio nome». Allo stesso modo, allora, «nessuno deve subire un’identità che non gli appartiene», né «ritrovarsi dentro il proprio percorso storico, un perfetto sconosciuto, che non lo ha generato e con cui non ha, in definitiva, nulla a che fare».