Sono 16mila i bambini sottratti all’aborto nello scorso anno con una media di 49 bambini per ogni Centro. Le donne incontrate ed assistite sono state 50mila con una media di 170 per Centro. Queste cifre sommate a quelle degli anni trascorsi dal 1975, quando è stato fondato a Firenze il primo Centro, portano a 130mila i bambini complessivamente salvati e ad oltre 500mila le donne assistite. Risultato ottenuto grazie all’opera degli oltre 4mila operatori volontari (12 per Centro) ed ai 73mla sostenitori (220 per Cav). L’82% delle donne che chiedono aiuto sono straniere e solo il 18% italiane, coniugate (61%), di età superiore ai 25 anni (53%) con difficoltà prevalentemente economiche (46%). A queste donne viene assicurata un’assistenza soprattutto economica, ma anche sociale e psicologica. Il 3% è stata ospitata nelle 60 strutture del Movimento.La maggior parte bussa alla porta dei Cav di propria iniziativa (28%), su suggerimento di amici (27%) o di parrocchie/associazioni (9%). Solo il 6% viene inviata da consultori pubblici o da strutture sanitarie, sintomo di un rapporto difficile tra Cav ed ente pubblico, ma si tratta di un rapporto che si sta modificando, soprattutto in alcune Regioni (Piemonte, Lombardia, Trentino, Emilia Romagna…) dove si sta tentando un’applicazione della legge 194 meno ideologica ed aperta al contributo, previsto dalla legge, del volontariato pro life. Il 30% degli aborti eseguiti in Italia riguardano donne straniere. Una piaga che sta raggiungendo dimensioni di vera emergenza sociale: l’allarme è stato lanciato da mons. Bruno Schettino, arcivescovo di Capua e presidente della Fondazione Migrantes della Cei, durante il convegno nazionale dei Centri di aiuto alla Vita che si conclude oggi a Firenze. Su questo dato, ha spiegato l’arcivescovo, incide il dramma della prostituzione: “Un giro in cui molte donne entrano per costrizione o per disperazione e da cui non riescono ad uscire per sudditanza psicologica e paura”. Ma a provocare questo aumento degli aborti tra le donne straniere in Italia ci sono anche, secondo Schettino, condizioni di vita e di lavoro non facili: situazioni che rendono difficile portare avanti una maternità. Alla relazione di monsignor Schettino nella sala convegni dell’hotel Mediterraneo di Firenze, di fronte ai rappresentanti degli oltre 300 Centri di aiuto alla Vita italiani, ha fatto eco la testimonianza di Lina Beatrix Callupe Limay, presidente della comunità peruviana in Italia. In Perù, ha ricordato, l’aborto non è consentito: “Abbiamo una profonda tradizione cattolica, che difende la vita”. Per questo la comunità peruviana in Italia ha lavorato per far calare al proprio interno il ricorso all’aborto, che stava crescendo in maniera preoccupante. I Centri di aiuto alla vita, ha sottolineato durante i lavori il presidente del Movimento per la Vita Carlo Casini, svolgono un servizio pubblico, che le istituzioni locali per fortuna iniziano a riconoscere. Interessante in questo senso è l’esperienza promossa dalla Regione Piemonte per l’inserimento delle associazioni “pro life” nei consultori pubblici, in modo che il principio di preferenza per la vita, previsto anche nella legge 194, possa essere concretamente realizzato. Il Governatore del Piemonte Roberto Cota non ha potuto partecipare al convegno di Firenze (è rimasto in Piemonte per seguire la situazione metereologica) ma ha inviato un messaggio in cui sottolinea il ruolo pubblico svolto dai Cav e l’importanza di una collaborazione tra le istituzioni e il volontariato “per sostenere percorsi di aiuto concreto alle donne che, anziché banalizzare l’aborto come soluzione, possano cercare possibili alternative”.