A fronte del legittimo dubbio sull’esistenza di un contesto socio-sanitario capace di influire negativamente sui livelli di sopravvivenza nella città di Taranto, un primo elemento - ancorché indiziario in quanto riferito al suo ambito provinciale - si ricava dai dati sulla durata media della vita: la così detta “speranza di vita”. Non sembra infatti casuale che, secondo le risultanze delle tavole di mortalità più recenti di fonte Istat (anno 2009), la provincia di Taranto sia posizionata al 96° posto per le femmine e al 97° per i maschi -ultima in entrambi i casi tra le province pugliesi- nella graduatoria dell’aspettativa di vita entro il panorama delle 107 province italiane. D’altra parte, in un Paese la cui popolazione ha complessivamente guadagnato, nell’arco dell’ultimo ventennio, circa cinque anni di vita aggiuntiva, la provincia di Taranto non solo ha contenuto tale guadagno in poco più di tre, ma recentemente ha anche messo in luce una preoccupante inversione di tendenza: i maschi sono scesi da una speranza di vita di 79,5 anni nel 2006 a una di 77,8 nel 2009 e le femmine da 84,2 a 83,1. È vero che il dato provinciale riflette l’esperienza di un’area che aggrega 580mila abitanti di cui solo un terzo residenti nel capoluogo, ma il sospetto che sia proprio la città di Taranto a spingere al ribasso il dato medio provinciale non sembra del tutto infondato. In proposito basterà osservare come, applicando il valore medio provinciale delle probabilità di morte alla popolazione del capoluogo, si arrivano a stimare 1953 decessi nel corso del 2009, mentre la corrispondente frequenza realmente accertata in città è stata di ben 2470 casi. I dati mostrano come il valore della probabilità di morte per la componente maschile in provincia di Taranto sia normalmente superiore al corrispondente dato pugliese, mentre sul fronte femminile tale rapporto sembra più equilibrato. Ma è soprattutto nella fascia della prima infanzia che il divario appare decisamente marcato. I maschi tarantini in età 5-9 anni hanno una probabilità di morte che è circa il doppio rispetto alla media dei loro coetanei pugliesi, e anche per le femmine di 8-10 anni il rischio relativo in provincia di Taranto risulta significativamente superiore. Un certo interesse merita anche la dinamica temporale di quanto poc’anzi osservato. Il confronto tra le tavole provinciali dei primi anni Novanta (media 1992-1993) e le più recenti (2008-2009) tende infatti a sottolineare un accrescimento del divario tra il rischio di morte nella provincia di Taranto rispetto al complesso della Regione Puglia, ma solo relativamente alla componente maschile. Quest’ultima sembra presentare un sensibile peggioramento in corrispondenza non solo degli adolescenti, ma anche dei giovani adulti. Decisamente meno interpretabile è invece la dinamica femminile, dove permane l’accentuazione del rischio tra le adolescenti ma è alquanto altalenante e indefinibile il comportamento nelle età successive. In conclusione, da questo sommario esame dei dati di mortalità, se anche non esce un responso inequivocabile sul maggior rischio del vivere a Taranto, non mancano tuttavia alcuni importanti elementi su cui vale la pena di riflettere. Innanzitutto vanno ricordati sia il ruolo di "fanalino di coda", nel panorama pugliese dell’aspettativa di vita, sia il parallelo peggioramento che si riscontra per il rischio di morte in alcune fasce di età adolescenziali e giovanili, specie per i maschi. Nel formulare una valutazione rivolta in modo specifico alla realtà della città di Taranto, non va poi dimenticato che il comune capoluogo sconta l’esistenza di condizioni che sono verosimilmente peggiori. Se ne ha conferma non solo constatando come Taranto abbia accentrato nel 2009 più del 40% del totale dei decessi della provincia, avendo unicamente un terzo dei corrispondenti abitanti, quanto soprattutto rilevando come la città sia stata caratterizzata da livelli di mortalità largamente superiori alla media provinciale. Il fatto che nel 2008 e nel 2007 l’analoga stima abbia segnalato "solo" un 10% dei decessi in più (+15% per i maschi e +5% per le femmine) e che i dati provvisori del 2011 abbiano ridimensionato la percentuale di morti nel capoluogo rispetto al totale provinciale (36% a fronte del 44% registrato nel 2009) può forse attenuare la gravità del responso, ma l’impressione è che la città di Taranto stia comunque sostenendo un importante costo in termini di vite umane.