Bambini X, senza nome, figli dell’abbandono e della tossicodipendenza da fertilizzanti. Sì, avete letto bene, da fertilizzanti. Bimbi romeni, spesso sieropositivi e già alla nascita in crisi di astinenza. Sempre da fertilizzanti. Una storia terribile che va avanti «nel totale silenzio». A lanciare l’allarme, ma anche a darsi da fare per aiutare questi piccoli senza nome, è la "Fondazione bambini in emergenza", costituita nel 1997 da Mino Damato, giornalista della Rai morto nel 2010, per aiutare i bambini della Romania abbandonati, sieropositivi (attualmente ogni 100 casi di bambini affetti da Aids riscontrati in Europa, 56 sono romeni). «Da gennaio abbiamo accolto 7 "bambini X" – racconta Silvia, moglie di Mino Damato – gli ultimi sono due gemelli di 14 mesi, ma tra poco arriverà la sorellina più piccola, di pochissimi mesi». Già, perché una delle conseguenze più drammatiche di questa tossicodipendenza da fertilizzanti è che, spiega Silvia, «le donne che ne fanno uso non hanno più il controllo di se stesse, restano incinte facilmente e partoriscono quasi senza accorgersene, non hanno la capacità di accorgersene. Così il bambino è abbandonato: la madre non lo riconosce come proprio e neanche gli dà un nome. Proprio per questo sono "bambini X". È la forma di abbandono peggiore».Tutto comincia circa un anno e mezzo fa. O almeno allora ci si comincia ad accorgere del dramma dei fertilizzanti quando negli ospedali pediatrici romeni arrivano le prime mamme in quelle condizioni. «In Romania – aggiunge ancora Silvia – li chiamano "etnobutanici", non so se è il nome corretto, ma sicuramente si tratta di prodotti per l’agricoltura, facilissimi da comprare anche per il costo molto basso. Convenienti, accessibili, all’inizio anche nei supermercati. In una prima fase queste sostanze venivano aspirate, come certe colle, ora invece se le iniettano direttamente in vena». Con danni devastanti. «L’uso di queste sostanze provoca in pochi mesi conseguenze paragonabili alla demenza tipo Alzheimer. Una dipendenza fortissima, con crisi di astinenza pesantissime. Chi le usa ha una sopravvivenza di un anno e mezzo o due». Droga dei poveracci ma non solo. «Ormai è diffusissima anche tra i "figli di papà"», rivela Silvia.Ma le conseguenza non si fermano ai danni neurologici. La fortissima dipendenza porta a iniettarsi la droga ogni tre ore (si comincia con un "buco" alla settimana), così alla fine, per "risparmiare", ci si scambia le siringhe. «E alla fine – aggiunge Silvia – questi tossicodipendenti, oltre ai danni cerebrali, hanno malattie collegate come l’Aids e le epatiti». Malattie che, purtroppo, è facile trasmettere ai piccoli. «Molti nascono sieropositivi e con crisi di astinenza fortissime. L’adulto in queste condizioni si ribuca, il piccolo deve sopportare, con diarrea, crisi epilettiche e addirittura il rischio di morte». E purtroppo, «i medici romeni non sanno come affrontare questa nuova emergenza, non c’è ancora una letteratura specifica».Tutto questo avviene nel più totale disinteresse. «In occasione della Giornata mondiale per l’Aids dello scorso anno – ricorda Silvia –, un gruppo di medici a Bucarest ha denunciato la scarsa attenzione delle autorità romene». In particolare per quanto riguarda l’abbandono di questi bambini. Ricordiamo che ogni anno in Romania vengono abbandonati 9mila bambini, 5mila dei quali sotto i tre anni, che si aggiungono ai 100mila già abbandonati da anni. Numeri ufficiali, sicuramente inferiori alla realtà, sui quali ora si aggiungono i "bambini X" che vivono davvero fuori dal Mondo. «Par farli "rinascere" – commenta Silvia – serve una sentenza del Tribunale che può richiedere anche due anni. Pur tutto questo tempo restano come "fantasmi" e come tali non possono neanche accedere ai servizi sociali e alla sanità pubblica. Così dobbiamo ricorrere a quella privata, pagando di tasca nostra». Con un ultima assurdità burocratica. Al momento dell’abbandono, solitamente l’ospedale dà al bimbo due nomi, secondo la tradizione romena, ma poi con la regolarizzazione, come detto spesso dopo due anni, il Tribunale dà altri due nomi. «E alla fine dobbiamo fare dei ricorsi per riconoscere i nomi originari». Un’ulteriore insensibilità su piccole vite che già hanno tanto sofferto.<+copyright>