lunedì 27 maggio 2013
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"Il risultato del referendum tende a negare la libertà di educazione e la sussidiarietà, principi sanciti dalla Costituzione, e rappresenta una sconfitta delle famiglie e dei bambini bolognesi". Lo ha affermato il Presidente di Agesc(Associazione genitori scuole cattoliche) Roberto Gontero, commentando il risultato della consultazione bolognese, sottolineando inoltre che è "un rischioso precedente per tutto il Paese, visto che i referendari hanno espresso l'intenzione di riprodurre l'iniziativa in altre città, generando nuove inutili spese e nuovi scontri e divisioni ideologiche. L'accentuato astensionismo ha costituito un fatto grave"."Su questo - aggiunge - si rende necessaria una riflessione anche tra i cattolici. Ma su questo i referendari stessi dovrebbero riflettere, prima di intraprendere percorsi analoghi. È urgente una massiccia mobilitazione e un ampio dialogo sulla situazione della scuola, evitando prese di posizione ideologiche stataliste".
 
"Quanto emerso dalle urne ieri a Bologna - prosegue il presidente Agesc - evidenzia come il tema della libertà di educazione, evidentemente, non rappresenti un elemento di interesse per la maggioranza dei cittadini bolognesi, di qualunque estrazione. Quanto sta succedendo a Bologna è una prova che nel nostro Paese, a fronte di un impianto costituzionale che tutela la libera scelta educativa, ci scontriamo con una realtà scolastica che mette in difficoltà l'esercizio di tale diritto per i propri figli". Secondo Gontero "è necessario che tutti i soggetti cui sta a cuore l'educazione delle giovani generazioni e la libertà, a partiredal risultato di Bologna, uniscano le forze in difesa di quei valori che superano una visione di conflitto tra pubblico e privato. Ciò - evidenzia - con l'obiettivo di assicurare condizioni che rendano possibile un'esperienza formativa adeguata. Esperienza che può essere messa a repentaglio togliendo risorse al sistema paritario e portando alla chiusura, in particolare, delle scuole dell'infanzia. Ne deriva il rischio di diminuire l'offerta formativa fra i 3 e i 6 anni in tutto il Paese, penalizzando così tanti bambini, e, soprattutto -conclude - negando la possibilità di scelta alle famiglie meno abbienti".
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