A fine maggio l’acciaieria Somet di Ambivere, a pochi chilometri da Bergamo, ha fuso accidentalmente una sorgente di radio 226. Non è la prima volta che tra Bergamo e Brescia si verificano allarmi per rottami radioattivi. Nel 2007 a Sarezzo, in Val Trompia, arrivarono misteriosamente scarti metallici contaminati. Provenivano dalle repubbliche caucasiche dell’ex Urss ed erano di probabile origine militare. Si parlò di pezzi di sommergibili nucleari smantellati, spediti in modo truffaldino alle fonderie del Nord Italia.Anche la sorgente di radio scoperta ad Ambivere era nascosta in un carico di rottami. Finita nel forno F9, ha contaminato circa 30 tonnellate di schiume di alluminio, ora isolate e messe in sicurezza. I controlli dell’Arpa hanno escluso la fuga radioattiva: nessun rischio né per la popolazione né per i dipendenti. La ditta sta cercando un sito di smaltimento, ma è difficile trovarlo.In Italia non ne esiste uno definitivo, ad eccezione del deposito temporaneo di rifiuti radioattivi presso il centro Enea della Casaccia. L’episodio di Ambivere è solo l’ultimo di una striscia inquietante: quattro anni fa nel Bresciano venne fuso cesio 137, forse proveniente da rottami militari arrivati in Italia chissà come.Il sindaco di Ambivere, Silvano Donadoni, da sei mesi chiede di allontanare le schiume contaminate. Teme di dover convivere con una presenza ingombrante: in alcune acciaierie esistono "sarcofaghi" dove le scorie radioattive fuse per sbaglio riposano per l’eternità. Il radio 226 decade dopo 1600 anni, dunque per Donadoni, che è anche medico, «il rischio è di doverci tenere una pesante eredità per sempre. Io mi preoccupo per la salute dei cittadini e voglio assicurarmi che in futuro si riduca al minimo il rischio di incappare in altri incidenti simili».La Somet si dice prima vittima della situazione, anche perché nessuno ha capito da dove sia arrivato il frammento radioattivo. Se in ingresso non è stato individuato, significa che forse era schermato in un contenitore di piombo. «Se sapessi in quale carico era nascosto, l’avrei denunciato – spiega Nicola Vedani, rappresentante della proprietà –, ma è impossibile capirlo, visto che ogni giorno da noi entrano almeno venti camion».I rottami non hanno l’etichetta, chi li rivende spesso fa il furbo e ne occulta l’origine. Tre anni fa a Ciserano, vicino a Bergamo, la Guardia di Finanza sequestrò un impianto di stoccaggio: le fatture dimostravano il conferimento da parte di privati, ma erano tutte false. La provenienza del materiale restò ignota, ma si scoprì la destinazione: le acciaierie lombarde, principale terminale della filiera del rottame, spesso inquinata alla fonte da chi si arricchisce trafficando in materiale sporco. La stessa Somet, all’inizio del 2011, respinse al mittente due Tir provenienti dalla Serbia, risultati contaminati da americio: il carico aveva passato senza problemi la dogana.Venivano invece dalla zona del Mar Caspio i rottami radioattivi fusi nell’ottobre 2007 in un’acciaieria di Sarezzo (Brescia). Quando le polveri di scarto arrivarono in un impianto della Val Seriana specializzato nel recupero di scorie, i sensori rivelarono tracce di cesio 137. Il camion fu sequestrato dalla procura di Brescia e lasciato nello stabilimento orobico per mesi, finché fu avviato in una discarica scortato da misure di sicurezza imponenti. Le indagini portarono dritte nell’ex Urss. Il cesio poteva provenire da parti di un aereo militare, oppure da un sottomarino nucleare smantellato. Giusto due anni prima, l’Italia aveva firmato con la Russia un accordo da 360 milioni di euro per smaltire i vecchi sommergibili sovietici. Una coincidenza che suscita qualche interrogativo.Proprio la "via dell’Est" è finita più volte nel mirino dei carabinieri del Noe, che in un rapporto del 2007 sottolineò la necessità di investigare sui traffici di materiale proveniente dalla dismissione degli impianti nucleari e dell’arsenale dell’ex blocco sovietico. I rischi derivano però anche dallo smaltimento illecito di vecchie attrezzature mediche, contenenti aghi di radio: potrebbe essere il caso di Ambivere.Nel biennio 2004-2005 il Noe intercettò 96 sorgenti radioattive "orfane" (cioè di origine sconosciuta) nascoste tra il materiale destinato alle fonderie del Nord, sempre affamate di ferro. Nel 37% dei casi i rottami avvelenati arrivano con il trasporto su gomma, nel 30% con i treni e nel 33% via mare. Il problema ha origini lontane: secondo il Sisde, tra il ’92 e il ’98, i valichi italiani di frontiera respinsero 15mila tonnellate radioattive.L’importazione di ingenti quantitativi di rottami metallici, destinati in buona parte alle acciaierie lombarde e venete, è diventata secondo il Noe «oggetto di attenzione di organizzazioni criminali nazionali e internazionali, al pari dei traffici di armi e stupefacenti». Un business per chi li gestisce, un danno enorme per chi li riceve. Il 13 maggio ’97 l’Alfa Acciai di Brescia bruciò cobalto 60 e cesio 137. L’intera linea di fusione fu compromessa, i lavoratori furono esposti a rischio radiologico. La produzione si fermò e si attivò la cassa integrazione, la perdita di fatturato superò i 40 miliardi di vecchie lire. L’Ilva di Taranto, il 22 febbraio scorso, bloccò all’ingresso un Tir contaminato da cobalto 60: l’inchiesta per scoprirne la provenienza è ancora in corso.L’incidente più inquietante si verificò però il 13 gennaio 2004 in un’acciaieria di Beltrame, nel Vicentino. Tra i rottami giunti da una ditta di Pozzuoli era occultato un fusto contenente cesio, prodotto in Usa nel ’90 per usi industriali. Il suo arrivo passò inosservato perché probabilmente, anche in questo caso, il carico era stato schermato per eludere i controlli. Qualche giorno prima, un contenitore identico era stato individuato in extremis. L’azienda fu costretta a chiudere e a bonificare, con pesanti conseguenze economiche e occupazionali.Le indagini portarono i carabinieri a sequestrare altri due fusti della stessa partita in un cantiere napoletano abbandonato. A dimostrazione che il traffico di rifiuti pericolosi tra Nord e Sud, purtroppo, segue entrambi i sensi di marcia.