Nel caos delle adozioni internazionali sono piovute come macigni le ultime, pesantissime dichiarazioni della presidente della Cai Silvia Della Monica: che – lo si scopre per la prima volta – non riunisce l’organismo da oltre due anni «perché esiste un conflitto di interessi» con enti che «seppur in modo indiretto agiscono all’interno della stessa Commissione ». Ed è solo il principio. Le adozioni fallateC’è una situazione «anomala», aggravata da comportamenti «discutibili» degli stessi enti «sia sul fronte economico che rispetto al rigore delle procedure adottive» in cui «sto cercando di ripristinare la legalità – spiega Della Monica –. Anche sottoponendo gli enti a vigilanza e controlli». Come dire: il sistema adozioni è fallato, dall’interno. Di più ancora: «Le gestioni precedenti (per fare qualche nome di ex presidente: Andrea Riccardi, Cecile Kyenge, Carlo Giovanardi, Rosy Bindi, ndr) hanno usato in modo scriteriato i fondi della Commissione. Per questo migliaia di famiglie sono rimaste senza rimborsi». All’allarme seguono fatti altrettanto gravi: ieri mattina la stessa presidente della Cai firma un protocollo d’intesa con la Polizia di Stato «al fine di rendere più efficace l’azione di tutela e garanzia » delle procedure. Le forze dell’ordine, cioè, d’ora in poi «supporteranno la Commissione nello svolgimento delle attività di controllo nei confronti degli enti autorizzati ». Un protocollo simile a quello firmato con i carabinieri a giugno 2015. Ci sarebbe materiale per chiedere immediatamente un commissariamento. La Cai, che fa capo alla Presidenza del Consiglio dei ministri, è l’organismo da cui concretamente dipendono le adozioni nel nostro Paese e che dovrebbe bastare a controllarle: se non funziona, le adozioni non funzionano, se ci sono scorrettezze, ci sono scorrettezze anche nelle adozioni. Ci sarebbe, soprattutto, materiale per mettere in allerta le ambasciate degli altri Paesi in Italia: cosa sta succedendo? Davvero gli enti autorizzati italiani non sono più affidabili?
La presidente della Commissione accusa gli enti: illegalità. La risposta: lo dimostri.
IL PASTICCIO IN CONGO: 7 DOMANDE AL GOVERNO
ANALISI Dietro la paralisi l'apertura alla stepchild adoption? di Luciano Moia
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IL PASTICCIO DELLE ADOZIONI IN CONGO:7 DOMANDE AL GOVERNOLa rivolta degli entiLoro, gli enti, non ci stanno: «È una guerra che non serve a nessuno e da cui prendiamo le distanze avendo come unico interesse il funzionamento del sistema adozioni in Italia». A parlare sono i 25 che coprono oltre l’80% delle procedure in Italia, insieme alle 33 organizzazioni familiari aderenti al Care (Coordinamento delle Associazioni familiari adottive e affidatarie in Rete). E con un comunicato altrettanto duro, per l’ennesima volta, chiedono un intervento del premier Renzi. Il conflitto di interessi? «È stato da tempo superato con un decreto del Presidente del Consiglio del marzo 2015», in cui si stabilivano con chiarezza i requisiti dei membri della Commissione. Quanto a rendicontazioni false e procedure opache gli enti chiedono che le accuse da generiche diventino circostanziate oppure che si smetta di lanciarle alimentando «un clima di sospetto che può creare smarrimento e confusione nelle famiglie e sfiducia nelle istituzioni». La Commissione, essendo un organo collegiale, «torni piuttosto a riunirsi, a riesaminare le richieste degli enti per l’operatività in nuovi Paesi e pubblichi i dati relativi alle adozioni con regolarità comprendendo anche le annualità mancanti 2014 e 2015». ANALISI Dietro la paralisi l'apertura alla stepchild adoption? di Luciano MoiaLe famiglie: «Vogliamo spiegazioni»E poi ci sono le famiglie. Quelle del Congo, in particolare, che nonostante i dossier dei bambini siano stati sbloccati e un numero cospicuo di visti addirittura firmati dall’ambasciata, dopo oltre due anni di attesa ancora non possono abbracciare i propri figli: «Richieste e risposte, di questo sentiamo il bisogno» scrivono nel blog che riunisce 25 delle circa 100 coppie ancora in attesa: «Apprendere che vi sono enti che “non si sono comportati con rigore” senza che siano doverosamente identifi- cati legittima da parte nostra il sospetto su qualsivoglia ente. Troviamo ciò profondamente disorientante». Senza contare che «rincresce leggere che la presidente Della Monica abbia con fermezza e piena volontà imposto un modus operandi poliziesco. La Cai è il luogo della accoglienza di figli venuti dal mondo in famiglie italiane, non un commissariato». Pasticcio Congo Le famiglie chiedono soprattutto i loro figli, al più presto. Sono 133 quelli bloccati in Congo dal 2013, ma dalla metà di febbraio la Commissione locale ha iniziato a “liberare” i dossier, a scaglioni. I bimbi, però, non sono arrivati in Italia e la Cai non ha comunicato né la data né la modalità del loro rientro nonostante le pressioni degli enti, delle famiglie, del Parlamento (attraverso numerose interrogazioni), della stampa e infine della Farnesina. Che nelle ultime ore ha messo il piede sull’acceleratore: «Ci apprestiamo a rilasciare, attraverso l’ambasciata a Kinshasa, 8 nuovi visti d’ingresso in Italia, che si aggiungono ai 43 già rilasciati », ha comunicato. Cinquantuno bimbi liberi, ufficialmente. L’auspicio, continuano gli Esteri, è «d’essere rapidamente messi in condizione di rilasciare anche tutti gli altri». Che sono 82. Più chiaro ancora l’ambasciatore a Kinshasa Massimiliano D’Antuono: «È la Cai che decide e può autorizzare l’ambasciata all’ingresso del minore in Italia». La Commissione però, nel frattempo, è ancora impegnata a far firmare procure alle coppie – spesso in bianco – per delegare i funzionari di alcuni enti ad accompagnare i bambini in Italia. Come (e se) sia stato verificato che siano anche gli enti “buoni” nella gestione delle procedure resta tutto da chiarire.
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