mercoledì 29 luglio 2015
L'Ispra certifica: produzione in calo. Ma è mistero su due milioni di tonnellate. Tanto export anche in Paesi "a rischio" e il caso amianto.
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Cala ancora, anche per la crisi economica, la produzione di rifiuti speciali. Ma restano molti dubbi sia sulla reale quantità che sul loro smaltimento regolare. È il quadro che emerge dalla XIV edizione del Rapporto Rifiuti speciali, elaborato dall’Ispra. Il calo della produzione sfiora i 2 milioni di tonnellate, scendendo dai 133,6 milioni di tonnellate del 2012 a 131,6 del 2013, tra i quali 8,7 milioni sono rifiuti pericolosi. Ne vengono 'gestite' 129,9 milioni di tonnellate. Quindi, ed è il primo 'buco nero', mancano all’appello 1,7 milioni di tonnellate che non si sa dove finiscano. Ma altri numeri preoccupano, e sono quelli che riguardano l’export di questi rifiuti: all’estero vanno ben 3,4 milioni di tonnellate (70% non pericolosi e 30% pericolosi). In Paesi sicuri come la Germania ma anche molto meno - lo dimostrano ricorrenti inchieste della magistratura - come la Cina, Corea, India, Pakistan, Marocco e perfino la Grecia, terzo importatore dei rifiuti industriali 'made in Italy'. E ancora di più sono i rifiuti che finiscono nei 'siti di stoccaggio': ben 13 milioni di tonnellate. Luoghi di smaltimento provvisorio ma anche, denuncia Stefano Ciafani, vicepresidente di Legambiente, «luoghi nevralgici per gli smaltimenti illeciti, dove i rifiuti entrano in un modo e escono in un altro». Dubbi che aumentano alla luce del fatto che «quasi il 50% dei dati forniti dall’Ispra sono solo stimati, pur se con procedure rigorose – sottolinea Alessandro Bratti, presidente della Commissione parlamentare d’inchiesta sul ciclo dei rifiuti –. Manca ancora, dopo lo stop al Sistri, un sistema efficiente di tracciabilità dei rifiuti speciali, e questo rende tutto complicato. Allungando anche i tempi delle analisi, così abbiamo i dati solo dopo due anni». E questo sicuramente favorisce ecomafie e imprenditori 'fuori legge' che proprio sullo smaltimento dei rifiuti speciali hanno fatto e continuano a fare ricchi affari, al Sud come al Nord, con effetti devastanti per territori e popolazioni, come insegna il dramma della 'terra dei fuochi'.  La produzione dei rifiuti speciali è concentrata soprattutto al Nord, con 80,4 milioni di tonnellate (+2,9%), seguita dal Sud (28,5) e dal Centro (22,6), entrambi in calo. Per quanto riguarda lo smaltimento, esclusi gli stoccaggi, il 71,9% è sottoposto a recupero di materia e energia, ma il 9,4% va ancora in discarica.  Un focus particolare il Rapporto lo dedica ai rifiuti contenenti amianto. Nel 2013 ne sono stati prodotti 414mila tonnellate (il 93,7% materiali da costruzione) con una diminuzione del 22% rispetto al 2012. Un dato decisamente basso, ma ancora di più è quanto viene smaltito: 151mila tonnellate finiscono in discarica (-71mila), altri 254mila vanno all’estero, quasi tuttte in Germania. Un’ulteriore conferma, segnala Bratti, «della scarsità in Italia di impianti per il trattamento dei rifiuti speciali, così questi 'girano' troppo, favorendo le possibilità di infiltrazione di gruppi criminali. Inoltre – aggiunge – se per la Germania, dove i rifiuti finiscono nella miniere di salgemma, possiamo stare sicuri, molti dubbi li abbiamo per altri Paesi. Dai porti esce molta roba irregolarmente, soprattutto plastiche e metalli, ma anche rifiuti elettrici e elettronici».  In Germania finiscono 971mila tonnellate (785mila pericolosi), segue la Cina con 312mila e la Grecia con 238mila (soprattutto non pericolosi). La regione che esporta di più è la Lombardia con 767mila tonnellate (rifiuti prodotti da impianti di trattamento e amianto), seguita dalla Puglia con 608mila, soprattutto rifiuti prodotti da centrali termiche e altri impianti termici (ceneri e rifiuti da desolforizzazione dei fumi). In altre parole si bruciano i rifiuti in Italia, producendo energia elettrica e calore, ma poi i residui finiscono all’estero.
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