Sistema Caritas. Così alcuni giornali e tg sull’inchiesta per truffa e peculato in Campania, che riguarda l’assistenza migranti e che ha coinvolto il direttore della
Caritas diocesana di Teggiano Policastro e alcuni collaboratori. In realtà c’è stata un confusione dei piani, parrebbe fatta ad arte, dell’indagine partita sabato 23 maggio sulla truffa ai danni dello Stato e dei migranti di cui sono accusati i vertici della onlus di Giugliano, nel napoletano, «Un’ala di riserva». E che ha portato all’arresto di Alfonso De Martino, 43 anni, in carcere, e la sua compagna, Rosa Carnevale, 43 anni, ai domiciliari, accusati di truffa, peculato e appropriazione indebita. Domenica c’è stata la perquisizione degli uffici della Caritas diocesana di Teggiano–Policastro, piccola diocesi da anni in prima linea nell’accoglienza. Ma le due realtà non sono legate anche se dai media non pare. «Addolora – dice don Francesco Soddu, direttore della Caritas italiana – vedere titoli sparati nel calderone mediatico che parlano genericamente e confusivamente di 'sistema Caritas' a fronte di una singola situazione specifica e di fatti ancora da appurare con certezza. Un’informazione corretta è ricerca leale - senza malafede o strumentalizzazioni - della verità dei fatti e rispetto delle persone e degli organismi di cui si tratta nelle notizie. Addolora ancor più la constatazione che in tal modo si alimenta un clima di sfiducia generalizzata che provoca sconcerto e disorientamento in quello che è davvero il sistema Caritas: gli operatori e i volontari impegnati ogni giorno accanto ai più bisognosi, ma anche la gente semplice che spesso è la più generosa, le famiglie che si autotassano mensilmente, coloro che attraverso il gesto semplice di adesione a una delle tante iniziative Caritas iniziano un cammino di attenzione ai bisogni del prossimo, di crescente coinvolgimento nei grandi problemi del mondo. Viviamo in una società già abbastanza malata di diffidenza ed egoismo; il diritto di informazione gestito in modo da produrre un ulteriore calo di solidarietà sociale è una grave responsabilità». Anzitutto vediamo le accuse della procura di Napoli alla onlus di Giugliano: con i soldi destinati all’accoglienza dei migranti in base a una convenzione con la Regione Campania, gli indagati avrebbero acquistato un immobile a Milano (152.000 euro), una società di schede per ricariche telefoniche (733 mila euro), nonché preso in affitto un bar a Pozzuoli (15 mila euro), comprato un immobile a Pozzuoli (100 mila euro) e si sarebbero appropriati di 130 mila euro in contanti e di 345 mila euro attraverso fatture per operazioni inesistenti. L’associazione percepiva 40 euro al giorno per ciascun immigrato. Gli indagati avrebbero anche fatto risultare falsamente di aver ospitato parte dei migranti per i quali percepivano le somme e due funzionari della Protezione civile regionale risultano indagati per aver dirottato i migranti presso la struttura. In tutto ciò la Caritas di Teggiano non c’entra. Dove entra in gioco? Durante l’emergenza Nord Africa, nel 2011/2013, venivano rilasciati a livello regionale, per disposizione della protezione civile, ticket ai profughi che potevano essere spesi presso esercizi commerciali per un valore di 75 euro al mese. Non essendoci esercizi in zona che li accettavano, la Caritas indirizzava i profughi presso l’attività commerciale della donna arrestata. L’ipotesi investigativa si fonda sul presunto traffico di pocket money (le piccole somme di denaro, 2,5 euro al giorno a ciascun migrante). De Martino se ne sarebbe impossessato acquistando schede telefoniche presso la rivendita di cui è titolare la sua compagna (ben 582.248 pocket money, sottolineano gli inquirenti). Parte di questi ticket provengono dalle strutture gestite dalla Caritas di Teggiano. Ciò si basa su alcune dichiarazioni rese ai pm dallo stesso De Martino nel gennaio scorso: «Fui io – disse – a proporre a Fiore Marotta (collaboratore della Caritas) di far convergere sulla mia edicola, qualora ne ravvisasse l’esigenza, i ticket che venivano riconosciuti ai loro ospiti in forza del contratto stipulato con la Regione Campania». Da qui parte l’accusa di peculato a don Vincenzo Federico e ai suoi collaboratori. Ma fu lo stesso sacerdote a segnalare le illegalità dei pocket money in una lettera del 30 luglio 2014 e indirizzata al Viminale, al prefetto Mario Morcone. Perché avrebbe dovuto denunciare il «sistema» se ne faceva parte?