«Quasi trentacinquemila euro di Ici pagati nel 2010 dalla sola arcidiocesi di Bologna (parrocchie escluse). Altro che privilegi ». Al secondo piano della Curia, dove lo incontriamo, il battagliero economo monsignor Gian Luigi Nuvoli sventola, con una certa insofferenza al «dibattito ideologico di questi giorni», la copia della denuncia dei redditi relativa allo scorso anno.
«L’arcidiocesi – scandisce – paga l’imposta su tutti gli immobili commerciali mentre sugli immobili esenti per la loro finalità sociale o di culto non la paga perché lo afferma la legge». E aggiunge: «Chi attacca il mancato pagamento sbaglia a fare i conti. La Chiesa è la prima associazione in Italia che non solo paga per intero l’Ici, ma tra i suoi primi beneficiari ha lo Stato. Sono stato tra i primi a lanciare, in caso di cancellazione delle esenzioni, l’idea provocatoria di uno sciopero generale delle nostre opere. Chiudendo le opere di carità, le nostre scuole, le nostre case di riposo come farebbe lo Stato a far fronte a tutte le situazioni alle quali noi diamo risposte? ». Un esempio: «La casa del clero, sebbene ospiti dei preti, non è un ente ecclesiastico, ma un ente privato di assistenza che ospita in media più di 20 sacerdoti anziani ed ammalati. In molti casi sono nullatenenti e dovrebbero quindi essere mantenuti dallo Stato. Vista questa finalità assistenziale, lo Stato non fa pagare l’Ici e il 50% dell’Ires. È invece corrisposta l’Irap e la tassa sui rifiuti. Ripeto: da questo aiuto fornito, lo Stato ricava un guadagno, in quanto mantenere tutte queste persone verrebbe a costare molto di più di quello che abbuona». Quanto paga di Ici nel suo complesso la Chiesa di Bologna? «Parlando del solo Comune di Bologna» osserva «è stata fatta una dichiarazione da parte di esponenti del Comune stesso che parla di circa un milione di euro.
Ma il conto tra dare e avere non è così automatico. Si deve tener conto delle iniziative di assistenza e di istruzione che la diocesi porta avanti. E non fare le solite lacrime di coccodrillo quando alcune opere, per mancanza di personale e di forza economica, sono costrette a chiudere ». Monsignor Nuvoli è un fiume in piena. «Ci arrabbiamo» dice «quando sentiamo che dobbiamo pagare per la beneficenza che facciamo. Come i 60-70 mila pasti distribuiti dal nostro Centro San Petronio ai più bisognosi. Ancora un esempio: la mensa comunale chiude in agosto; noi non chiudiamo perché, diversamente dal Comune, siamo convinti che anche in agosto i senza fissa dimora mangino. Noi solleviamo da una spesa il Comune e dobbiamo sentirci dire che siamo degli sfruttatori dello Stato. Ma che si vergognino ». Che dire poi, annota monsignor Nuvoli, «di circoli, sindacati, partiti che non solo godono di esenzioni ma ricevono anche consistenti sovvenzioni? Bisogna togliere le agevolazioni al sottobosco non a chi fa del bene». Intervenendo nel dibattito l’assessore alla casa Riccardo Malagoli (Sel) ha affermato «che sarebbe un grande gesto se la Chiesa aderisse spontaneamente al pagamento della nuova Imu anche per gli edifici che ne sono esenti per dare un concreto segno di vicinanza alle famiglie bolognesi che sono in gravi difficoltà».Dichiarazioni che il vicario generale della diocesi monsignor Giovanni Silvagni boccia senza appello: «Mi pare un invito demagogico e dissennato. Che parte da una profonda ignoranza su quello che la Chiesa di Bologna sta facendo. Considerazioni frutto di disinformazione o della ricerca di una facile popolarità». All’assessore, prosegue monsignor Silvagni «è forse sfuggito che il grande gesto la Chiesa di Bologna lo sta facendo da anni, tutti i giorni, nel campo dell’assistenza e dell’istruzione». L’assessore, conclude il vicario generale, «tenta di accreditare l’idea che la Chiesa è insensibile alla crisi. Mi chiedo dove vive. Vorrei solo ricordare che da tre anni la diocesi è scesa in campo per aiutare le famiglie. E che anche la raccolta dell’odierno “Avvento di fraternità” sarà completamente destinata a chi non riesce a pagare le utenze o le spese di istruzione per i propri figli».
Bologna si caratterizza anche per una forte presenza di circoli laici.Stefano Brugnara, presidente dell’Arci di Bologna, (oltre un centinaio di circoli affiliati che non avendo patrimoni immobiliari propri non pagano l’Ici) definisce «deprecabili» le battaglie ideologiche. «Si tratta solo di rimarcare che se una struttura è commerciale deve pagare. Se è vero che non si può pensare di tassare la mensa della Caritas è altrettanto vero che anche le case in cui si accolgono gli immigrati devono avere agevolazioni ». Monsignor Nuvoli non nasconde che nella definizione di ciò che è commerciale e di ciò che non lo è ci sia qualche ambiguità. «Ma ai nostri preti diamo indicazioni precise. Se un bar parrocchiale o di un circolo è funzionale all’associazione, cioè serve solo i soci, vende a prezzi modici bibite e gelati, non ha accesso dalla pubblica strada non può certamente definirsi una struttura commerciale, in caso contrario evidentemente sì. Sulla materia abbiamo avuto molte cause, che ho seguito personalmente: e le abbiamo vinte tutte, “spese compensate”, purtroppo».