Dovrete essere indulgenti. Da secoli, neppure i teologi sono preparati a commentare la rinuncia di un Papa. E per dirla tutta, io mi sento del tutto impreparato alla rinuncia di questo Papa. La sua lucida e penetrante padronanza della dottrina, il suo stile a un tempo così immediato e così poco mediatico, la sua pratica così sincera del ministero della mitezza e della fermezza della fede, mi hanno talmente abituato alla forza del suo spirito, da rendermi impreparato alla grandezza del suo distacco. Però, intuisco che la passione ecclesiale del suo servizio, che ora – e proprio così – si illumina così fragorosamente, è destinata a diventare lezione epocale di stile per il ministero – potere e servizio – nella comunità di fede. (E non solo nella comunità della fede). Cerco di balbettare parole, per restituire quello che intuisco, a caldo. Del ministero petrino, nella Chiesa e per la Chiesa, si è servitori, non padroni. Per dimostrarlo, non è necessario che morte sopraggiunga. E così noi, dopo aver ricevuto innumerevoli doni e prove della sua custodia e del suo onore, siamo testimoni, emozionati e sbigottiti, del gesto della sua restituzione.Il cristiano Joseph Ratzinger, il servitore fedele della Chiesa, restituisce – da vivo – il ministero petrino alla Chiesa, perché, ascoltando lo voce dello Spirito e interpretando l’indicazione del Signore, essa lo assegni all’uomo che sembrerà più adatto a infondergli il nuovo vigore che la conferma della fede e la guida della Chiesa richiedono. Un gesto estraneo alla nostra immaginazione banalmente clinica, un segno di responsabilità che anticipa il distacco da sé, interiormente richiesto: in questo ministero, più che in ogni altro. Per comprenderlo appieno, però, al di là dell’abnegazione di un animo grande, dobbiamo intenderne la lucidità nei confronti dell’ora presente della Chiesa e del mondo. È pur questo un pronunciamento del Papa. Un pronunciamento nei confronti della speciale congiuntura della fede e della storia in cui viviamo. Non per caso, su questa congiuntura Benedetto XVI ha concentrato, con grande determinazione, il fuoco della sua parola e dei suoi ultimi ammonimenti. Il congedo è annunciato nel cuore dell’Anno della fede e dopo il Sinodo dei Vescovi sulla nuova evangelizzazione. Un gesto epocale, per una svolta della vitalità della fede. Il Papa coraggioso fa il suo ultimo passo, camminando – proprio così – avanti alla Chiesa, che dovrà seguire.
Con che cuore, dunque, potremo limitarci a un semplice gesto di comprensione e di condiscendenza? Benedetto XVI merita – e ha meritato – infinitamente di più. Il suo ultimo atto di ministero rende onore al carisma petrino. E come tale deve essere onorato. L’evidenza del gesto ci fa traballare, certo. Ci lascia con il fiato sospeso.
Sentiamo però che mai così efficacemente siamo stati messi di fronte alla nuda fede che ci è necessaria, affinché la Chiesa – la Chiesa, sì, il vangelo che è affidato agli umani! – lasci spazio a nuove energie e a nuovi chiamati. Perché le sia concesso di mostrare, in modo totalmente persuasivo, la sua totale passione per il vangelo insieme con il suo totale distacco da se stessa. Dovremo al gesto del Papa Benedetto – ci verrà in mente per secoli – la riscoperta ecclesiale della forza che viene da questa perfetta sovrapposizione di totale passione e di totale distacco. È per questo che esiste, un Papa. E che cosa può fare di più, un Papa, per convincerci ad abbandonare una volta per tutte le passioni tristi e gli ambigui interessi che ci distolgono dall’appello del Signore alla Chiesa? Non potremo mai più dimenticare il modo con il quale ci è stata spalancata la porta di una fede totalmente disinteressata, alla quale restituire appassionata evidenza per tutti coloro che ne hanno perso l’immagine. E non avremo scuse, se non faremo tesoro, di fronte alla storia, di questo splendido magistero del congedo di un Papa.